Addio Lelio, il papà di tutte le hit parade
Erano dieci giorni che il telefono fisso della bella panoramica casa di Trieste squillava a vuoto. Muto anche il cellulare di Rossana, moglie di Lelio. Tre giorni fa le prime serie preoccupazioni di tutti gli amici romani. Ieri la notizia. A Trastevere Lelio Luttazzi ha lasciato i suoi più cari amici. Era arrivato in via della Lungara una dozzina di anni fa, dopo il lungo esilio a Ceri, sulla colline etrusco-laziali. Un condominio speciale quello della Lungara: registi, produttori, poeti, attori, musicisti; qualcuno un po' snob, altri alla ricerca di quella calma levantina che solo un quartiere che ne ha viste di tutti i colori puà dare. Una casa verticalizzata, su tre piani, in cui Lelio ritrovò il gusto del sociale, la gioia degli amici che non lo avevano mai abbandonato: Gianni Ferrio, Roberto Podio, Adriano Mazzoletti, Gilda Buttà, Alba Arnova. A cui qualche volta si aggiungeva qualche telefonata di Mina. Sono stati loro a far tornare a Lelio la voglia di suonare, improvvisare, cantare. Serate indimenticabili, lui che suonava per noi, lui che ci raccontava gli aneddoti che conoscevamo a memoria ma che, come bambini prima di cadere fra le braccia di Morfeo volevamo sempre ascoltare nuovamente. I flirt, soprattutto quelli mancati, la notte all'Excelsior con Mamie Van Doren, l'attrice mantide del sesso anni Cinquanta, l'emozione nell'incontrare Errol Garner, grande jazzista, suo idolo. Eppoi la Triestina degli anni Quaranta, le litigate con Teddy Reno, suo scopritore, la solidità del rapporto con Giancarla Mandella, la donna per la quale abbandonò la famiglia, una figlia piccola, la natia Trieste. Serate condotte a ritmo di jazz, con grandi dimenticanze e salti d'epoca, con il suo conterraneo Gianni Ferrio sempre pronto a suggerire gli accordi ma guai a toccare il piano. Serate rigidamente a numero chiuso, senza mondanità, solo per appassionati e molto improvvisate, com'era il jazz prima di diventare insopportabile e schivo delle istituzioni. C'era swing, certo, ma si poteva parlare di Gershwin e di Cole Porter, di "West side story" e di Louis Armstrong. Accade ancora qualcosa del genere in qualche altra casa? Da lì ripartì l'energia del Luttazzi molto anziano, poco propenso a farsi premiare ma decisamente d'accordo a ricordare i tempi in cui la musica si svolgeva principalmente su un palco. Da Renzo Arbore a Fiorello, dal Festival di Sanremo ai dischi inediti pubblicati sulla base delle sue registrazioni Rai degli anni Cinquanta. Come in una "second line" di New Orleans - quando alle orazioni lamentose cariche di blues che accompagnano il feretro fa poi seguito lo scoppiettio di una banda dixieland in cui si sottolinea che in fondo il deceduto passò la vita a spassarsela - Lelio Luttazzi può ben dire di avere avuto una vita lunga e felice, accanto ad una donna fantastica, forse con qualche piccolo incidente di percorso, ma sempre con swing ed ironia. Ciao Lelio, ci mancherà molto la tua inconfondibile "blue note".