La mia vita da «Core pazzo»
NinoD'Angelo, parliamo del suo nuovo libro "Core pazzo". Perché questo titolo? «È la continuazione del mio libro autobiografico "L'ignorante intelligente" uscito nel 1999. La mia vita è andata avanti. Questo libro racconta questi ultimi dieci anni. Il titolo è ripreso da uno spettacolo che ho intenzione di riprendere e riportare in tour». Come è stata la sua vita finora? «Bellissima: sia prima che non avevo niente sia oggi che sto meglio economicamente. Posso dirlo, faccio una vita da privilegiato». Cominciamo dalla famiglia: un valore? «La famiglia in sé è già un valore, direi assoluto». La mamma? «La metto al primo posto in classifica». Il papà? «Secondo: la mamma è sempre la mamma». I fratelli? «Loro sono la "Coppa Italia" per usare ancora un'immagine calcistica». Si sente ancora figlio? «Mi sono sentito figlio quando i miei genitori erano vivi. Oggi mi sento padre». Che padre pensa di essere? «Un padre più attento di quando ero più giovane. allora inseguivo il successo. Oggi sono più attaccato alla famiglia, anche perché so che tra poco i figli andranno via. Cerco di vivere ogni momento con loro» Che figlio pensa di essere stato? «Un buon figlio: certamente meglio di un buon padre». Che nonno è e sarà? «Come tutti i nonni che impazziscono per i bambini: ho una nipotina per la quale stravedo». Annamaria, sua moglie. È la donna che le ha cambiato la vita? «Sì, assolutamente!!!». Il matrimonio: un giorno indimenticabile? «Senza dubbio ma ancora più indimenticabile il giorno che l'ho incontrata, Annamaria». Aveva 15 anni Annamaria... «Quando ci siamo fidanzati ne aveva 13. A 15 eravamo già una coppia affiatata». A che età le prime canzoni? «Ero cantante sin da bambino la mia passione è stata innata. Ho imparato anche a scrivere canzoni seguendo mio suocero, un bravissimo autore». I primi dischi? «Sergio Bruni, Mario Merola, i dischi del festival di Napoli, Giacomo Rondinella». Il successo quando è arrivato? «Dipende da cosa si intende per successo. Quello grande è arrivato con "Nu jeans e na maglietta" nel 1981, ma già prima sentivo il calore del pubblico». Il cinema cosa le ha regalato? «Una grande popolarità, alle mie canzoni innanzitutto e a me come personaggio». Il caschetto: quanta nostalgia? «Nessuna nostalgia, io comunque stimo quel Nino. Senza quello non ci sarei stato oggi io». Napoli e Nino D'Angelo si identificano? «Si rischia di essere presuntuosi a dire che è così. Io sono Napoletano, la città E la gente sono nelle mie vene. Mi sento profondamente figlio di Napoli». Il teatro le regala emozioni? «Negli anni mi sono innamorato del teatro, mi piace girare l'Italia con i miei spettacoli. Il rapporto con il pubblico è quotidiano ed assiduo». Ed il «suo» Trianon, sempre a Napoli? «È un teatro fantastico, dove vengono a sfamarsi di cultura quelle persone che non possono permettersi il teatro, quello vero. Il Trianon nasce per il popolo e la gestione è fatta proprio per dar modo alla gente di prendervi parte». Un pensiero per Maradona? «Un grande campione e una grande persona. Ha saputo fare autocritica ed affrontare i suoi errori. Oggi lo ammiro ancora di più». Un pensiero per il Napoli e i suoi tifosi? «Contento per il Napoli in Europa anche se mi aspettavo di entrare dalla porta grande, quella della Champions League. Ma so che il presidente, il mio amico De Laurentiis, sta già lavorando per creare una squadra ancora più forte e per renderci più competitivi in Italia e in Europa. Ho molta fiducia in questa società». Un suo maestro era Raffaele Viviani, naturalmente attraverso le sue opere. È stato mai vittima di pregiudizi per il fatto di essere napoletano e del sud? «Quando ero ragazzo ho incontrato molti pregiudizi. Da ragazzo mi sono sentito discriminato anche a Napoli». È un uomo ricco? «Ricco sì, e ancor più ricco dentro. In tasca non lo so. Sicuramente non sono povero». Il suo futuro? «Cantare e ancora cantare voglio morire sul palcoscenico: è la mia vita». Cosa le manca? «I genitori». Crede in Dio? «La fede la più grande forza che si possa avere». È finita quando è finita? «Penso che c'è sempre qualcos'altro. Non può finire: per quelli che hanno fatto del bene c'è dell'altro senza dubbio».