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Quella guerra civile iniziata senza perché

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Di«Canale Mussolini», il libro di Antonio Pennacchi che ha vinto il Premio Strega, pubblichiamo l'introduzione e un ampio brano. Bello o brutto che sia, questo è il libro per cui sono venuto al mondo. Fin da bambino ho sempre saputo di dover fermare questa storia – le storie difatti non le inventano gli autori, ma girano nell'aria cercando chi le colga – e raccontarla prima che svanisse. Nient'altro. Solo questo libro. Ogni altra cosa che ho fatto – bella o brutta che sia – l'ho sempre sentita come preparazione e interludio a questa. Anche gli altri libri sono nati in funzione di questo e solo per lui mi sono messo a studiare le storie più strambe di questo mondo, dall'uomo di Neandertal all'architettura e bonifiche fasciste: solo per poter fare questo libro. Non sembrerà quindi strano se a un certo punto capiterà di imbattersi in brani o cose già lette negli altri. Non è lui che copia da loro. Sono loro che furono scritti per lui. Non esiste naturalmente nessuna famiglia Peruzzi in Agro Pontino a cui siano capitate tutte le cose narrate qui. Sia la famiglia Peruzzi che la successione delle cose che le capitano – anche in riferimento ai personaggi storici realmente esistiti – non sono che frutto di invenzione: non è vero niente ed è tutta opera di fantasia. Non esiste però nessuna famiglia di coloni veneti, friulani o ferraresi in Agro Pontino – e anche questo è un fatto – a cui non siano capitate almeno alcune delle cose che qui capitano ai Peruzzi. In questo senso e solo in questo, tutti i fatti qui narrati sono da considerarsi rigorosamente veri. a.p. Fatto sta che nel 1920 i miei zii si erano messi col fascio di Ferrara e andavano tutti i giorni in giro per i paesi della Bonifica Ferrarese con i camion, i 18BL avanzati dalla guerra. Tra novembre e dicembre li hanno messi a ferro e fuoco tutti. Bruciate le camere del lavoro, sezioni socialiste e leghe. Quegli altri però – i rossi – non è che stessero a guardare. Sparavano. Reagivano. Si difendevano. Ma ogni giorno sempre di meno. Lo scontro era militare oramai – guerra civile – tu di qua e io di là. Con il fratello di mio nonno e i figli suoi andava tutto bene ancora, tutto d'accordo. Non c'era nessuna discussione, nessun conflitto. Solo zio Pericle non parlava con nessuno di loro. Neanche salutava più. Come non esistessero. Salutava solo lo zio per rispetto del padre: «Buongiorno, zio, e buonasera». Punto e basta. Certo non ci si aiutava più come prima e già alla semina – ai primi di novembre – ognuno s'era seminato i campi suoi e ognuno oramai, quando serviva una mussa o un cavallo, pigliava i suoi, non pigliava più quelli dell'altro, ognun per sé, ma senza fare una parola; continuandosi a parlare uguale a prima, come se tutto il casino che c'era in giro, in casa nostra non entrasse. Quando poi ci si incontrava in paese o nelle fiere, si faceva però finta di non vedersi, non conoscersi. Fuori intanto era guerra civile le ripeto, tu di qua e io di là, e quando è guerra è guerra e ognuno mena con quello che ha – con le unghie e con i denti – ma a me i miei zii hanno raccontato che quella lite, la guerra civile, non l'avevano cominciata loro, ma gli altri. E non solo con l'insultare i soldati che tornavano dalla guerra come fossero loro i traditori della patria e del proletariato, ma proprio con le botte, gli spari, le violenze: «Sei tu» dicevano i miei zii, «che hai bruciato i pagliai e occupato le fabbriche, ed è lì che sono volati i colpi di moschetto, i morti, i feriti». È così che lo scontro è diventato militare – è diventato di forza – e le liti non è che si facciano a patti a questo mondo. Uno quando comincia una lite, poi se vuole vincerla deve giocare il tutto per tutto, non è che possa dire: «No, facciamo solo a pugni, oppure niente colpi bassi». Eh no, se tu la cominci, io dopo rimeno come posso: pugni, calci, piedi, morsichi, ciàpo el bastòn, me la gioco tutta per tutta, con la vita sul palmo della mano. Solo così posso sperare di vincerla. Quelli, invece, prima occuparono le fabbriche e bruciarono i pagliai, poi ci ripensarono: «Squadristi!» dicevano adesso ai miei zii. E più noi sparavamo e più loro ci ripensavano, perché loro – gliel'ho detto – erano divisi, non è che avessero un solo capo ed una sola idea. Erano di mille colori, mille fazioni e ognuno faceva di testa sua. Non c'era verso di farli andare d'accordo. Anzi, ognuno diceva all'altro «Traditore!» – tali e quali adesso nella sinistra nostra – e c'era chi diceva «Rivoluzione!» e chi «No, frena: riforme!», e alla fine non facevano niente. E anche quelli che volevano resistere – come gli Arditi del Popolo, per esempio – alla fine si sono ritrovati da soli...

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