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Incroci di passato e presente Nel segno del fratello Gianni

Antonio Pennacchi

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«Lo dedico a mio fratello». Quando dalle labbra di Antonio Pennacchi sono affiorate quelle parole, sui miei occhi si sono materializzati quelli che Gianni, il fratello, chiamava con un sorriso “i lucciconi”. Il premio Strega a “Canale Mussolini” per me è un segno del destino, una piccola fiamma nel grande buio che s'è acceso quando Gianni quella maledetta sera di dicembre dell'anno scorso ha salutato noi tutti e spento la luce per sempre. “A mio fratello” dice Antonio. “Capo, ‘spetta che devo chiamà mi fratello, sennò quello poi me rompe i cojoni…”, diceva Gianni. Quante volte l'ho sentita questa frase echeggiare nello stanzone del Giornale in via dei Due Macelli. E ora che allo Strega ha vinto il romanzo migliore mi rendo conto che quella telefonata ci manca. Ho sperato nella vittoria di “Canale Mussolini”.   Con Pietrangelo Buttafuoco qualche giorno fa ci abbiamo ricamato sopra, sperando che “quei babbioni” della giuria trovassero il coraggio di fare la cosa giusta. L'hanno fatto. E senza rendersene conto queste anime morte hanno ridato un po' di fiato all'asmatico mondo delle patrie lettere. Hanno premiato il respiro di un romanzo vero e messo da parte i ghirigori senza pathos degli scrittori che vincono premi ma non emozionano il lettore. L'incipit del romanzo di Canale Mussolini è stato per me come una madeleine proustiana: “Per la fame. Siamo venuti giù per la fame”. E giù una montagna di ricordi, flashback, lucciole nella notte. Gianni che a cena mi racconta la sua rivoluzione: “Sai, ero un gruppettaro. Ero povero. E quando organizzavamo le nostre manifestazioni politiche a Roma ogni tanto andavo a dormire a casa di un amico ricco. Una stanza bellissima. Mi stendevo sul letto. Aprivo gli occhi, fissavo il soffitto affrescato e pensavo: ecco Gianni, per te la rivoluzione è quel soffitto affrescato. E mi addormentavo felice”. Le pagine di Antonio sono uno sprazzo del mondo del fratello, narrazione scritta che nel mio ricordo s'incrocia con la narrazione orale di Gianni. Canale Mussolini ha un doppio gusto: il piacere di leggere finalmente un romanzo con polmoni da maratoneta (come deve essere un romanzo) e la sensazione struggente dell'amico ritrovato, del dettaglio che si fa storia umana, unica, irripetibile, preziosa. Era stato così anche per il libro precedente scritto da Antonio, Il Fasciocomunista, ma allora Gianni era tra noi e la storia di Accio e Manrico noi del giro serale del cocktail Martini a Piazza Mignanelli l'avevamo vissuta con il nostro Pennacchi in splendida forma e istrionica presenza. Il libro di Antonio diventa “Mio fratello è figlio unico”, il film su Manrico, cioè su Gianni interpretato da Scamarcio. Entra nella mia stanza al Giornale: “Ao' a capo, ma famme capì n'attimo… chi è sto Scamarcio che mi interpreta nel film?”.   Apro una pagina internet, gli faccio vedere l'attore, belloccio un po' maudit. “E questo sarebbe bello? Ma famme er piacere… mo' te faccio vede' io quant'era bello Gianni Pennacchi”. Sfodera una foto. Ecco Gianni, petto nudo, sembra un divo del cinema che prende il sole a Goa. Tombeur de femmes da esportazione. Gli dico: “Scrivi un pezzo per dire che Scamarcio ti fa un baffo”. E lui scrive: “Non nego che il giovane Scamarcio sia un bel ragazzo, ma anche il personaggio che interpreta, nella sua realtà storica non aveva certamente bisogno del soccorso estetico”. Vanitoso. Così Il Fasciocomunista nato dal ricordo fantastico di Antonio si contamina del presente meraviglioso di Gianni. Così dentro Canale Mussolini scorre la storia di una terra, emerge il carattere di una famiglia, rotola come un sassolino di grande fiume il cuore di Gianni. Sì, Antonio. A tuo fratello.  

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