Immaginate di viaggiare su un'autostrada a tre corsie e di potervi permettere il lusso di passare da un lato all'altro, da destra a sinistra
Godendovidi tanto il tanto il centro. La stessa strada, magari percorsa tante volte, vista da tre angolazioni diverse. Non solo il guard rail del sorpasso perenne, non solo la campagna oltre la segnaletica, ma anche lo scorrere delle auto dia qua e di là in un andamento senza tempo, in un viaggio che, così, diventa mai provato. «A piccole dosi» di Raffaella Grasso, con l'affettuosa prefazione del suo editore, Antonio Seracini, è un racconto in epigrammi distinto in tre parti che possono leggersi l'una di seguito all'altra o intersecarsi a piacere del lettore. Non è una storia e possono trovarsene di infinite. Brandelli di esperienza e di riflessioni. Pensieri solo all'apparenza immobili. A tratti versi. Le overtures disegnano una specie di speranza accennata e disvelata con pudicizia sullo sfondo di una vita che non s'impressiona di fronte alla fatica di essere, ne percepisce la potenza, ma non esaspera il dramma fino a ridurlo a farsa. Le code accennano a qualche tratto di liberazione. Ogni fine, anche la peggiore, reca in sé quel sospiro che permette di guardare avanti. Il nerbo del libro è reso tuttavia dagli interludi, quel centro d'equilibrio nel quale si potrebbe vivere meglio e che si trascura con efferata noncuranza. Le piccole dosi di Raffaella Grasso qui diventano massicce, certe volte inquietanti perché il ritmo degli epigrami non si apre e non si chiude. Resta sospeso, quasi si nega alla condivisione con il lettore. Quando parla di sé l'autrice, al suo terzo volume dopo Passaggi al centro (Arion) e Sconfinando (Bonaccorso), tiene a precisare che per farsi leggere non bisogna necessariamente scegliere i tratti di vita peggiore. Dirigente bancaria, madre, un matrimonio felice, Raffaella conosce le leggi della competitività ed è donna del suo tempo. L'emancipazione, la guerra con i maschi e con le femmine, la fatica di fare carriera e la gioia di mantenere unita la famiglia la rendono simile alle nate nella seconda metà del Novecento condannate all'attitudine di fare molte cose insieme e di lottare per farle bene. O almeno di provarci. Senza rinunciare alla passione per la scrittura e ai doni che essa sa elargire a chi la coltivi con una certa cieca dedizione. «A piccole dosi» è un po' la vita di tante donne strette fra mille contraddizioni e pochi pensieri facili. Quel che qui è unico è la narrazione della normalità che fugge da ogni enfasi. Per le donne che non hanno mai urlato e per gli uomini che le sanno amare.