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Con Paolo Portoghesi nel palazzo doppio «Riapriamo la porta nella facciata di Basile»

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Delpotere, sì. Ma anche l'espressione più grandiosa del barocco. Con dietro tante storie, tra antichità, papi, onorevoli e umori romaneschi». Paolo Portoghesi, l'architetto più capitolino, ci prende per mano e ci porta nel labirinto-Montecitorio. Sono finiti da poco gli ennesimi restauri e lui gli ha dedicato due volumi editi da Electa. Ma non percepisce la sede della Camera solo come oggetto di studio. Portoghesi, Montecitorio per lei è un sentimento? È l'edificio che da bambino mi colpì di più. Mi fissavo a guardare le scogliere, le rocce che increspavano, come in uno scherzo, le parti laterali, le soglie delle finestre. La più bella invenzione del Bernini. Il miscuglio di natura e architettura. Come Fontana di Trevi di Salvi. Adesso è una cittadella che coccola i deputati. Con sauna, barbiere, banca, poste, ristorante. Un labirinto... Beh, l'impressione si ha nei sotterranei, o negli ambienti superiori. Inevitabile, se si pensa alla molteplicità delle funzioni. Però la parte nuova, quella di Ernesto Basile, ha un impianto semplice. Ed è un capolavoro del '900, specie nell'aula, col lucernaio liberty che illumina dall'alto. Invece piace poco. I romani lo chiamano affettuosamente "il croccante", causa il color biscotto dei mattoni. Ma arricciare il naso per l'eclettismo di Basile significa non aver capito. Ce lo dica lei, l'intento dell'architetto. Fare del Parlamento un edificio non romano. Bisognava rispettare lo spirito di tutta l'Italia, non di quella che era stata l'urbs, o la città dei papi. Dall'altro lato la parte antica. Col marchio dei nobili e dei pontefici. Fu commissionata nel 1653 dai Ludovisi. Un palazzo gentilizio. Bernini inventò i due corpi laterali arretrati: sembrano tirarsi indietro per accogliere gli ospiti. Poi l'allievo Carlo Fontana lo trasformò in Curia Innocenziana. Il tribunale del Papa. Nel '700 dal balcone venivano comunicati i numeri del Lotto. Un altro snodo del legame forte della città con Montecitorio. Il Mons Citorium dove gli antichi andavano a votare. E il cerchio si chiude. Tanta storia sepolta sotto. Emergono aspetti nuovi? Puntualizzazioni, grazie agli studi promossi negli ultimi anni proprio dai politici che ci stanno dentro. Per esempio la vicenda della colonna dedicata ad Antonino Pio, che molti confondono ancora con quella di Marc'Aurelio, nella vicina piazza. Stava proprio sotto Montecitorio, fu recuperata in pezzi ai tempi di Innocenzo XI. Una parte è in Vaticano, nel cortile della Pigna. Il resto fu smembrato e impiegato altrove. La faccenda attizzò l'odio contro il figlio del Fontana, incaricato di tirare fuori i reperti. Sa, Roma è pettegola». Ma lei che cosa toglierebbe, o aggiungerebbe, a Montecitorio? «Lo hanno definito un grand hotel. Gli manca un posto per l'anima. Fausto Bertinotti, all'epoca della presidenza, mi commissionò uno spazio del genere. Lo immaginai come luogo per la meditazione, con testi del Vangelo, dell'Antico Testamento, del Veda, del Corano. Da allestire al primo piano. Ce n'è uno simile nel nuovo Bundestag. Non se ne fece niente, i parlamentari, si obiettò, possono pregare nella vicina S. Maria in Aquiro. Ma altro mi preme. Vorrei che si riaprisse il portone principale della Camera, quello in piazza del Parlamento. Non avviene perché, dicono, porta sfortuna.

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