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Se si è delusi da un qualcosa un po' si è arrabbiati, un po' si è amareggiati.

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IlPaese di oggi gli dà i bruciori di stomaco e va disperatamente alla ricerca di un «Digestivo Antonetto», ma Nicola Arigliano ormai, purtroppo, ci ha lasciato. Beha ha dato alle stampe il saggio «Nel paese del televoto - Dopo di lui il diluvio - Weimar, Italia», edito da chiarelettere, 236 pagine, 14 euro. Un libro delicato come una bastonata in testa che compie un'analisi politica (tragica) del nostro Paese, ma poi, non pago del dolore lacerante che ne deriva, passa all'analisi economica. In Italia si sta male, soprattutto economicamente, perché è governata male da gente che vuole solo restare al potere. Un potere prevaricatore e gradasso che se ne sbatte dei danni che fa e pensa solo a restare in sella anche se solo su un cavallo morto. Beha ha scelto un interlocutore ideale nobilissimo: Pier Paolo Pasolini che, tanti e tanti anni fa, profetizzò l'appiattimento culturale, la scomparsa degli ideali, il continuo e veloce inaridirsi del (una volta) grande mare della cultura italiana. Tra i grandi colpevoli di una progressiva «ignorantizzazione» dell'Italia la televisione che è un «frullatore mostruoso». Ma mentre Pasolini scriveva agli inizi di questa tragedia Beha ci annuncia che il «barile Italia» ormai è stato raschiato. Insomma siamo in una sorta di basso impero, un medioevo, anzi, per usare le parole dello scrittore, siamo nel pieno di un «golpe marrone-escrementizio». E chi spera di uscirne senza sudare (magari sangue) è un illuso. Le parole più feroci Beha le riserva alla sinistra latitante: «opposizione autoforgiatasi al consumismo di Berlusconi». Allora che fare? Sperare che la casta si suicidi? Diamogli un aiutino, dice Beha. A. A.

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