Quella divinità pagana firmata Michelangelo
Pochi pezzi, tutti eccezionali: questo il biglietto da visita di «La forma del Rinascimento», la mostra che apre i battenti oggi nel romano Palazzo Venezia e prosegue fino al cinque settembre. Trenta opere in tutto, nei severi saloni, con le finestre oscurate per creare uno spazio di luce attorno a ciascuna opera. In primo piano, per raccontare il Rinascimento a Roma, un periodo inspiegabilmente trascurato, tre autori «massimi»: Donatello, Andrea Bregno e Michelangelo. Di Donatello, che giunse a Roma «per studiare e misurare l'antichità», è esposta la gigantesca testa di cavallo del monumento equestre ad Alfonso d'Aragona re di Napoli, mai realizzato per intero. Questo bronzo spettacolare, conosciuto come «Testa Carafa», perché esposto dall'omonimo cardinale partenopeo nel cortile della propria dimora, ha detto uno dei curatori, Claudio Crescentini, per molto tempo fu scambiato per un'opera romana del II secolo. Poi Andrea Bregno, nato vicino a Como, che, all'epoca, fu artista molto conteso, perché i lombardi erano più svelti degli altri e, ha precisato il curatore, soprattutto rispettavano il budget. Suoi i monumenti funebri di papi e aristocratici. Ma Bregno precipitò nell'ombra oscurato dal genio di Michelangelo che appena giunto nelle Città Eterna lavorò proprio nella sua bottega. In mostra ci sono le nuove attribuzioni a Michelangelo Buonarroti: il San Giovannino della Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, il leone reggistemma della Chiesa di Santa Maria Maddalena a Capranica Prenestina. E poi il «Vento marino o Eolo», un'opera unica alla quale la mostra dedica un'intera grande sala.