Bachmann-Celan l'amore, le lettere il tragico destino
Ancorauna volta Ginevra Bompiani ha visto giusto nel pubblicare il carteggio Ingeborg Bachmann e Paul Celan: "Troviamo le parole. Lettere 1948-1973" a cura di Francesco Maione (Ed. Nottetempo, pp.332 E 25). E' l'occasione per scoprire uno dei più bei volti della letteratura europea del Secondo Novecento, Ingeborg Bachmann, profondamente e tragicamente legata a Roma dove morì nell'autunno del 1973: una sigaretta lasciata accesa, un pauroso incendio, il corpo devastato dalle ustioni, disperati giorni di agonia. Una fine inspiegabile che alcune cronache dell'epoca non esitarono a considerare un tentativo di suicidio. Il legame Bachmann-Roma è difficile da spiegare. Vi era approdata nel 1953 dopo il successo della sua prima raccolta di poesie, «Il tempo dilazionato» e l'adesione al Gruppo 47. La decisione di trasferirsi nella Capitale italiana era maturata per motivi di lavoro, avrebbe voluto soggiornarci poco tempo, non pensava che vi sarebbe rimasta fino alla morte. Abitò a lungo in Via Bocca di Leone 60 per poi trasferirsi, nell'ultimo periodo, in via Giulia 66. Soffriva già di problemi di salute legati alla farmacodipendenza, tuttavia intensa fu la collaborazione alla rivista letteraria «Botteghe Oscure»; appassionata la sua traduzione tedesca delle poesie di Ungaretti; illuminante il saggio sui rapporti tra la letteratura italiana e quella tedesca. Ma le interessava la vita, il mondo, la società, gli uomini, da osservare e sezionare in ogni loro parte. Per questa ragione dietro lo pseudonimo di Ruth Keller si occupò lungamente di cronaca nera seguendo il caso Montesi, commentò acutamente la ratifica dei Trattati di Parigi, non mancò di ricamare persino sulla chiassosa ascesa della Lollobrigida. Di Roma la Bachmann seppe cogliere le asperità. In uno dei pochi scritti sulla Città Eterna - "Quel che ho visto e udito a Roma" - annotava: "Ho visto che dicendo Roma si evoca ancora il mondo e che la chiave della forza sono quattro lettere S.P.Q.R. (...) Il Tevere è bello, ma trascurato. L'isola Tiberina è un'isola di malati e di morti. Al Ghetto non bisogna lodare il giorno prima che faccia sera. Giordano Bruno continua ad essere bruciato ogni sabato, quando si smantella il mercato». Come più volte ebbe a dire la sua era una «Doppelleben», doppia vita: una reale nel cuore di Roma, l'altra letteraria nel cuore di Vienna, dove ambientò quasi tutti i racconti, i romanzi, le poesie. «Sto meglio a Vienna perché sono a Roma; senza questa distanza non potrei immaginarla per il mio lavoro», scriveva. L'Austria, quel relitto di terra sopravvissuto al crollo dell'Impero asburgico, restava l'angolo più caro alla memoria della scrittrice. Era nata nel 1926 a Klagenfurt, una valle dai due nomi, tedesco e sloveno, un territorio racchiuso fra tre confini, austriaco, italiano e sloveno. E proprio la ristrettezza di quella terra e la consapevolezza dei suoi "confini onnipresenti" le avevano trasmesso "la nostalgia per il mondo". A Vienna aveva mosso i primi passi come poetessa e aveva stretto una delle più tormentate e appassionate amicizie, quella con Paul Celan, il poeta di origine ebraico-rumena che aveva pagato in prima persona gli orrori dell'Olocausto. La Bachmann era stata subito rapita dal fascino dell'ebreo errante, dall'autore della raccolta di poesie «Papavero e memoria» (1952), dai versi crudi di «Fuga di morte», riferito al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Diciannove anni sarebbe durata la corrispondenza fra i due, l'uno a Parigi l'altra a Roma; un epistolario di gioie e di dissapori, decine di lettere alla ricerca delle parole che li facessero davvero incontrare, invano. Anche un convegno «Ingeborg Bachmann - Paul Celan. Ognuno parla con la colpa dell'amore», all'Istituto di Studi Germanici a Villa Sciarra, dove la stessa Bachmann amò frequentare gli scrittori tedeschi in Italia, ha svelato in questi giorni la storia umana e letteraria di due poeti di lingua tedesca, accomunati entrambi da un crudele destino di morte, l'uno sulle sponde della Senna, l'altra su quelle del Tevere.