La penna non è un'arma
Il piglio è quello della tedesca dura e pura, e perfino il caschetto di capelli neri, volitivo, rimanda a certe virago tipo l'algida Marlene Dietrich. Herta Müller, premio Nobel per la Letteratura 2009, è una che non le manda a dire. E infatti a Roma, dove questa sera sarà la star di Massenzio, al Festival delle Letterature, si produce nel pistolotto anti-Berlusconi. Ma è un bene che il pubblico romano la conosca. Perché quando il suo nome è uscito dal cappello a cilindro degli accademici di Svezia, ha fatto lo stesso effetto di quelli che ogni anno ci propina il premio letterario più importante del mondo. Ovvero: chi è costei? si sono domandati tremebondi i cronisti culturali, dovendo stendere in quattro e quattr'otto un profilo della coronata d'alloro mentre magari erano preparatissimi per i papabili arcinoti. Un Claudio Magris, per esempio, o la svedese Astrid Lindgren, la «mamma» di Pippi Calzelunghe, che aspetta da mezzo secolo. Ma già, non è abbastanza intellettuale. E di nicchia. Dunque, merito al Festival delle Letterature aver «catturato» frau Herta e di farcela conoscere da vicino. Ha un pedigree politico e letterario di tutto rispetto, la Müller, 57 anni, nata in Romania e appartenente al ceppo tedesco. È una che ha vissuto sulla propria pelle il giogo delle spie comuniste, la censura di Ceausescu. Se n'è andata a vivere in Germania («Il tedesco è la mia madrelingua, ho imparato il romeno a 15 anni»). Ma anche in terra tedesca si è battuta, dopo la riunificazione, contro chi aveva dimenticato troppo in fretta il passato permettendo che persecutori comunisti si riciclassero. Ieri a Roma ha raccontato pedinamenti, aggressioni, interrogatori subiti per non aver voluto collaborare con i servizi segreti di Bucarest. Ma non ha mai usato la letteratura come un'arma contro il regime: «Ho fatto opposizione con la mia persona. Provavo rabbia e dolore contro i governanti ignoranti e stupidi, ma sapevo che con la mia scrittura non avrei potuto destituire Ceausescu. Se il potere dall'alto è corrotto, si corrompe anche dal basso». E allora, via alla scrittura, «che - spiega - deve luccicare così tanto da fare male». Questa sera, a Massenzio, leggerà l'inedito «Il parrucchiere, i capelli e il re». «Nel campo di mio nonno soldato nella prima guerra mondiale - racconta - c'era un parrucchiere che lo ha aiutato a farsi ricrescere i capelli con succo di foglie seccate. Il parrucchiere era un giocatore di scacchi e mio nonno per ricompensarlo ha intarsiato delle figure, fra cui il re, che sarebbe diventato il primo re della mia vita al ritorno del nonno dalla prigionia. Il re era storto, traballante. Anche il nostro dittatore era traballante, brutto». Se la polemica politica non entra nei suoi libri, entra però nei suoi discorsi. Di Berlusconi dice: «All'estero ci chiediamo come sia possibile in una democrazia un personaggio che riesce a fare tutto ciò che vuole senza barriere ed è pure amato dai suoi cittadini». Verrebbe da rispondere: appunto perché non ha messo barriere alla democrazia.