Ecco come cogliere l'attimo fuggente
I primi ad essere colpiti dal «virus» sono stati i vip. Una sorta di pena del contrappasso per essere, o pretendere di essere, qualcosa di più dei comuni mortali. I politici, le star dello sport e dello spettacolo. Ma poi la frenesia dell'attimo, la nevrosi del voler fare tutto e subito, che poi diventa troppo e mai, ha colpito anche la gente comune: impiegati, salumieri, artigiani. Così, all'alba del terzo millennio è andata a finire che l'urgente ha soppiantato l'importante e tutti, proprio tutti, non fanno che rincorre cose inutili. Ma come è potuto accadere? Qualità, stile e modo di vita delle persone negli ultimi anni sono radicalmente cambiati devastando inesorabilmente la qualità dell'esistenza e sembra che nessuno ne sappia il perché. Ci mette una toppa, forse afflitto da un senso di colpa, Marco Niada, apprezzato economista, con il saggio «Il tempo breve. Nell'era della frenesia: la fine della memoria e la morte dell'attenzione». Un libro già apprezzatissimo, soprattutto dai giovani. Il senso di colpa, latente, che aleggia tra le pagine è per non essere riuscito a prevedere la crisi economica che, più o meno verso il 2008, ha investito e ancora travolge l'intero mondo occidentale. L'autore, con metodo scientifico, ma anche con un'immancabile punta di ironia, si domanda se in qualche modo la tragedia immanente fosse prevedibile. Ma perché andare a cercare cause di un malessere in un momento nel quale tutti dicevano che tutto andava bene? Sì, ma quel «tutto va bene» era il verdetto di uno sguardo superficiale, di un'analisi che analisi non era, era il giudizio, insomma, di persone che non si fermavano a pensare. A parte che forse qualcuno l'aveva pure detto che la globalizzazione non sarebbe stata tutta rose e fiori, l'autore affronta di petto il rapporto tra gli uomini e il tempo. E qui l'economista diventa storico e filosofo, perché il modo di correlarsi dell'uomo con il suo tempo è l'anima stessa dell'azione umana. E allora apprendiamo che il burocrate di stampo borbonico, che se ne stava in panciolle alla sua scrivania, altro non attendeva che di essere interrotto dal trillo del telefono, perché era uno status symbol, una dimostrazione di prestigio. Ma oggi le moderne tecnologie che hanno esteso la reperibilità a tutti i momenti della vita dell'uomo, ne hanno fatto una sorta di continua interruzione, un susseguirsi di colloqui e azioni non rimandabili che non portano a nulla. E questo non va bene, tranne forse che per i giornalisti, che, secondo l'autore, meno tempo hanno e meglio scrivono. Niada esplora la storia dell'uomo che viaggia nei secoli, partendo dalle azioni ritmate dalla luce solare. La parte centrale del libro parla di San Benedetto e della vita monastica, perché è nella ricerca di un equilibrio dal sapore divino tra preghiera e lavoro, con ritmi ferrei, che nasce l'uomo moderno. Il lettore viene preso per mano e accompagnato in questa ricerca. Niada più che affermare suggerisce, lascia aperte molte ipotesi perché anche lui, non ne fa mistero, è stato colto di sorpresa dall'epoca del tutto e subito. E resta attonito, oggi, in Afghanistan, nel constatare come giovani di quel Paese tormentato, tirino fuori disinvoltamente dalle pieghe dei loro abiti dei telefonini e si allontanino dai loro interlocutori, come accade a Londra, Roma o New York.