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La nostra letteratura umiliata dai mocciosi

Federico Moccia

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Fateci caso. Che produce la nuova "letteratura" italiana? Moccio, tendenzialmente: una secrezione di piagnistei adolescenzial-sentimentali che allargano il delta vischioso del "moccismo" originario. Quello, cioè, di un fenomeno di costume che ha visto orde di ragazzini appassionarsi ai batticuore immaginati da uno scrittore che ha fatto la fortuna di sé stesso, dei ferramenta lucchettari e la disgrazia dei lampioni di Ponte Milvio. Il vero problema, però, non è dato dai mocciosi o dai "moccini", i fans e gli epigoni dell'autore. Ma dalla ulteriore debolezza strategica che il boom del filone teen-soap ha generato nelle case editrici. Che non sono più disposte a investire su un giovane romanziere coraggioso, disposto al corpo a corpo con ogni parola buttata sulla pagina. Sta accadendo nel campo letterario quel che è già avvenuto nell'industria discografica, dove i talent-show portano all'apice della fama pochi cantanti ventenni che vendono dischi per una stagione o poco più. Una volta pareggiati i bilanci dell'azienda, li riconfinano nel dimenticatoio dell'effimero. Non mette conto di far nomi: ma il veleno del "moccio" toglie agli editori e agli agenti il piacere di provarci, a sostenere la creatività, in nome di un ricambio duraturo del "milieu" degli scrittori italiani. Per far credere che ne nascano di nuovi, originali, arditi, ogni tanto premiano un giovane, meglio se dedito ad altri mestieri. Ed ecco che a una mente scientifica come Paolo Giordano càpiti di vincere lo Strega con un'opera alla fin fine impalpabile, che sarebbe passata inosservata al tempo in cui i nostri grandi avevano davvero qualcosa da raccontare. Il Novecento è irrimediabilmente trascorso, ma siamo ancora lì a bearci dei lampi folgoranti di un Vittorini, di un Volponi, di un Gadda, di Bassani, Flaiano o Pasolini. Non tutti, certo, mantennero le promesse. Moravia era già al suo climax nell'esordio degli "Indifferenti", poi fu un lungo e tedioso riproporre un cliché maschilizzante. Gli umori cupi di Bevilacqua perdurano tuttora, ma nessuno se ne interessa. Meglio un vecchio illuminato, malinconico ma lieve come La Capria. Ma chi, dopo di loro? Calvino, ultimo resistente nelle antologie scolastiche, ha anche prodotto dei deliziosi sfracelli. Non certo nella sua sfavillante bibliografia, quanto come sponsor dei "giovani autori" di venti-venticinque anni fa. Chi ricorda il plauso unanime (e imbarazzante) con cui venne recensito Andrea De Carlo? O la sopravvalutazione di un (comunque valido) emergente come Daniele Del Giudice? Qualcuno ne ricorda i libri più recenti? Ancora: cosa hanno prodotto quelle cinque-dieci pagine discrete di "Oceano mare"? Un Baricco fatuo e narciso, ridotto a un imbonitore del nulla ipercompresso. Andiamo oltre? Sappiamo innamorarci di qualche nuova frase scritta da Susanna Tamaro dopo l'exploit del diario-testamento di "Va' dove ti porta il cuore"? La verità è che il più lucido interprete degli anni Ottanta, il Pier Vittorio Tondelli degli "Altri Libertini" - quello che descriveva in tempo reale i disagi e i tormenti collettivi e personali di una generazione complicata - è mancato troppo presto. Oggi i giovani romanzieri non hanno voglia di uscire allo scoperto, se non per proposte di rapida consumazione. E i loro fratelli maggiori sembrano avere già dato il meglio, pur immersi nell'acquerugiola della nostalgia per gli anni di piombo e la meglio gioventù. Chi, fuori dal coro? Il decorato Tiziano Scarpa? Mah. Forse la trentasettenne Valeria Parrella, se non farà perdere tono alla sua penna. Forse Alessandro Piperno, se riuscirà a non farsi ossessionare dal suo brillante debutto di "Con le migliori intenzioni" e la smetterà di limare all'infinito il nuovo "Gli inseparabili", la cui uscita è stata più volte rimandata. O ancora Milena Agus e Mariolina Venezia, autrici piantate nei sapori di Sardegna e Lucania, se non finiranno nello scivolo del manierismo. Tutto attorno è il vuoto pneumatico del Moccio.

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