Modesta proposta.

Magià, Luigi Moretti, che dagli anni '30 agli anni '70 ha firmato gli edifici più diversi della Capitale, sconta ancora la «damnatio memoriae». Lui che è stato il più brillante architetto del Ventennio, ma che poi ha inventato per la Capitale del dopoguerra, per quella del boom, per quella edonistica e lugubre degli anni Settanta. È vero, il Maxxi appena aperto gli rende omaggio con una grande mostra. Tra disegni, plastici, foto nel museo dell'archistar straniera Zaha Hadid facciamo una passeggiata nella Roma del Novecento plasmata invece dall'architetto nato all'Esquilino. Uno tanto fiero di essere capitolino da farsi chiamare «Aloisius Moretti Romanus». Uno di poche parole, puntiglioso disegnatore dei suoi progetti. Ma di pantragruelico appetito e di curiosi vezzi: come girare in chevrolet decappotabile bianca e nera con interni rosso fuoco. Che cosa ha fatto Moretti a Roma? Tra l'altro il Foro Italico e il quartiere Incis di Decima, il Villaggio Olimpico, la palazzina della cooperativa Astrea in via Jenner, a Monteverde, quella del Girasole ai Parioli, Villa Modugno sull'Appia, il ponte Nenni sul Tevere. Fino al parking di Villa Borghese, una delle ultime sfide. E, intorno alla città, il restyling delle terme di Fiuggi e tre ville a Santa Marinella. Per dire di una creatività che non muore col fascismo. Che si forma su rinascimento e barocco, sboccia nel razionalismo, usa calcestruzzo, marmo, pietra. Ma l'onta di aver firmato lavori fascisti sulla cui qualità ora nessuno discute la paga ancora. Perché certe opere sono state deformate, cambiate nell'uso, lasciate decadere. Come la Casa del Balilla, del '33-'37, in via degli Ascianghi, a Trastevere. O la metafisica Casa delle Armi, in quel Foro Italico che Moretti ha progettato mettendo idee anche per lo Stadio Olimpico, la Fontana della Sfera, il piazzale dell'Impero. La Casa Balilla, dunque, con la sequenza di vuoti e pieni, di rette e di curve, ad assecondare le funzioni di teatro, palestra, biblioteca. Se la sono spartita Regione Lazio e Comune. Ciascun ente ha modificato, alzato muri, straziato interni ed esterni. Perfino l'atrio è stato diviso in due parti. Uno stravolgimento che un parziale restauro della Regione nel 2004 non ha annullato. Peggio ancora la Casa delle Armi. Da quando divenne aula bunker, una cancellata in ferro, spesso arrugginita, la soffoca. Nell'Accademia della Scherma è stata stesa moquette verde. Sulla facciata che guarda il Tevere campeggia la scritta al neon «Carabinieri». Sarebbe dovuta diventare museo dello Sport. Non se ne fa niente per mancanza di fondi. Ma almeno perché non si eliminano gli obbrobri aggiunti?