L'eterno ritorno di Mina
Puntuale come lo sbiadito spot della cedrata quando torna l'estate, ecco il nuovo disco di Mina. Che arriva persino in anticipo sul previsto: il precedente cd, "Facile", risale ad appena sette mesi fa. Questo "Caramella" non è neppure malaccio: c'è un tonico duetto con il soul singer nero Seal in "You get me", un paio di brani scritti dai due Subsonica Max Casacci e Davide "Boosta" Dileo, il ripescaggio di una splendida cosa dell'ex Scisma Paolo Benvegnù ("Io e te"), tanto per ribadire l'attenzione che la Tigre rivolge alle nuove leve del pop-rock italiano, come già era accaduto, di recente, con gli Afterhours. Ah, e tra i 14 brani non mancano duetti con mostri sacri come Giorgia e Lucio Dalla: peccato che "Poche Parole" o "Amore disperato" fossero già stati incisi per tempo sulle opere dei colleghi. Non manca, poi, il pezzo ("Il povero e il re") firmato dal parente stretto: e per il 23enne nipote Axel Pani, figlio di Massimiliano, non è neppure la prima volta. Insomma, tra ballate, incursioni techno e soft-jazz, ecco un altro capitolo di quella sterminata discografia familiare (è sua l'etichetta Pdu, da più di quarant'anni), grazie alla quale Mina investe sulla propria apparente inafferrabilità. È una sorta di industria della nostalgia, incentrata sull'evidenza consolidata che la signora non ha alcuna intenzione di tornare sulle scene (e significativamente anche Massimiliano Pani dice: «come suo fan, sarei contento che lo facesse»). Dal 23 agosto 1978, data del suo ultimo concerto a Bussoladomani, il ritornello è sempre quello: e non basta che Mina sia in realtà la più "presente" tra le interpreti storiche della nostra musica. Registra senza posa, si cimenta come opinionista per un quotidiano, e se proprio vuole farsi "vedere" offre qualche fuggevole immagine di sé su internet: quando accadde, anche qui per spot, i contatti furono milioni. Come del resto l'altr'anno a Sanremo, quando la sua tanto strombazzata "sigla" condita con riprese video in studio serviva a lanciare il cd di turno, quello sulle arie operistiche. Un fantasmatico attivismo che rende bene, e con il minimo sforzo. Mina, malgrado la voce tuttora impareggiabile (solo un po' più scura e meno versatile degli anni ruggenti) sa che non potrebbe misurarsi con l'immensità dell'altra se stessa: quella che si meritava da Sordi a "Studio Uno" battute come "sei 'na fagottata de roba", o che duettava con Battisti a "Teatro 10" in uno dei momenti top della storia della tv, o che rivaleggiava con la Carrà come soubrette in "Milleluci". È diventata conformista, Mina. Bei dischi, sfornati al ritmo di una finanziaria o di una scadenza fiscale. Nessuno, però, che possa lontanamente reggere il confronto con i classicissimi: che so, "Un anno d'amore", "E se domani, "Se telefonando", "Il cielo in una stanza". Quando incise "La canzone di Marinella", lo sconosciuto Fabrizio De André smise di pensare alla carriera di avvocato e grazie a lei divenne il più grande cantautore italiano. L'ultimo capolavoro della signora Mazzini è stato il disco in coppia con Celentano, che non a caso ha venduto più di un milione e mezzo di copie. Per il resto, splendida routine: e la gente compra Mina perché si illude che il tempo si sia fermato per tutti. Che siano ancora i favolosi anni Sessanta, lei ribelle che fa la boccaccia a Sanremo su "Le mille bolle blu" o che sfida i benpensanti con i suoi amori complicati. Allora sì che era anticonformista, unica e abbagliante. Ammaliava Alberto Lupo su "Parole parole", tempo fa l'ha reincisa con il calciatore Zanetti. Finge di essere scomparsa. La Garbo l'aveva fatto davvero: la leggenda non si nutre di business.