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Abbasso Bridget e le altre Meglio la zitella nostrana

Rene Zellweger

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Ah, la cena con i vecchi compagni di classe! Ah, il Capodanno, tormento replicante ogni dodici-mesi-dodici. Ah, l'ora fatale del bikini, degli zoccoli tacco 12 per fare passerella sui lastroni assemblati nella sabbia bollente del mare nostrum. Prove durissime se si vive una specifica condizione. Quella della zitella. Zitella, sì, altro che single. La spara così, senza camuffamenti british Angela Di Pietro appunto in «La rivincita delle zitelle». Che è già un programma dalla copertina, un cuore ispido di cactus ad evocare l'aspetto rustico della scrivente. Trattasi di giornalista di razza de «Il Tempo» che si spaccia per inguardabile over 45 e che racconta in prima persona avverture pseudoamorose e pseudo ma molto pseudo erotiche. Direte: una replica di Brigdet Jones, delle pettegole disinibite di Sex and the City. E invece no. Perché Di Pietro anela alla Grande Mela, ma impasta le sue tragicomiche vicende nell'humus più careseccio che si possa. Latina, la provincia laziale meticcia, un po' romanacci sbruffoni (il mascellone volitivo del Duce fondatore non è archiviato), un po' napoletani fatalisti. È vero, Angela - che nella vita è maestra di bon ton e cronista del jet set - propenderebbe alla Fifth Avenue, al Central Park, al Mayflower Hotel, quello dove Michael Douglas ha girato un film d'amore a cambiale, ovvero prima o poi si salda il conto. E però - sarà pigrizia, sarà autodifesa? - non trancia il cordone ombelicale col loco natio. Ovvero quella «città di centoventimila abitanti dove il monumento più conosciuto è una palla in mezzo a una fontana». Dove l'happy hours consiste nel «mordicchiare la cannuccia della mia bevanda analcolica preferita, l'Estathé». Un guscio, Latina, nelle serate estive a passeggiare in centro, senza glamour ma magari infilandosi in trattoria a sfiziarsi di spaghetti alle telline. Dunque, che può capitare a una zitella così? Di collezionare delusioni. Ma di provarci comunque a trovare un marito. Serate indimenticabili? Quella passata in un locale a bere tequila con un gay. Scatta la scintilla del feeling intellettuale, si finisce a chiacchierare a casa, lui ha fauci al posto della bocca e lei si fa volentieri inghiottire. Ma al commiato la gela. «Mi piace il tuo cervello, ma sei decisamente poco attraente». Chapeau, commenta la zitella, mai una marcia indietro fu tanto «elegante». E capita pure di peggio. Come quella volta che il corteggiatore era un pescivendolo uso a regalare burinissime rose blu. Ma tant'è, la seratina sexy finalmente arriva. La zitella resta in lingerie albicocca, lui in boxer. «Poi toglie anche quelli. E mentre sbircio, me ne accorgo. Non aveva il coso piccolo. Non aveva il coso superdotato. Il suo organo sessuale era anatomicamente storto». Una rarità che apre la fantasia delle similitudini: «Era la torre di Pisa, la freccia che indica di svoltare a destra, il pendolo di un orologio rimasto bloccato a metà percorso». Ci vuole un po' di distacco, serve un po' di respiro. Meglio le seratone da sola, in pigiama, a bersi la tv. Meglio impegnarsi alla caccia serrata ai peli superflui, facendone il catalogo. «Broccoletti all'altezza dei polpacci, una famigliola di tre soli esemplari fra inguine e ombelico, il pelo sul lato destro del mento, simpatico perché autonomo e al contempo devoto». Oppure rimirare nell'armadio l'abito-cult, quello firmatissimo avuto in regalo dal trust di tutti i parenti, «compresi quelli emigrati in California negli anni Cinquanta». È un tubino ghiaccio con stampate sopra fragole rosse. Tanto discreto che al momento della foto a un matrimonio altolocato fa sbottare il fotografo: «A fragolò, mettete in ultima fila, stamo a fotografà 'na cerimonia, mica 'na macedonia». Meglio tappata in casa o in ufficio, a guardare dalla finestra «i monti Lepini che sembrano proprio quelli delle favole». Meglio il blog, con le altre fierissime sfigate. Il club è aperto a tutte.

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