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Gli Stones riaprono il loro tesoro nero

Mick Jagger e Keith Richards dei Rolling Stones nel 1972 al tempo della regstrazione di

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A chi scrive capitò di trascorrere una serata di bevute e chiacchiere con Keith Richards. Quasi vent'anni fa, a Siviglia, prima che il chitarrista salisse sul palco. In un'ora si era scolato due bottiglie di Jack Daniels': la sua lingua era diventata blu, ma la performance fu scintillante. Veniva da pensare: "come diavolo fa a stare in piedi?". Al tempo aveva già subìto uno choc elettrico quasi letale in concerto, gli avevano cambiato totalmente il sangue più volte, era sopravvissuto a ogni abuso di stupefacenti. L'altro ieri ha annunciato un'autobiografia, un nuovo cd degli Stones, la possibilità di un tour. Per l'ultimo, tre anni fa, la band teneva bombole d'ossigeno e defribillatore nel backstage. A settant'anni non si sa mai: ma eccoli ancora satanicamente sulla breccia. Eppure, l'apice creativo dei Rolling risale al 1972, quando vide la luce un album in doppio vinile, "Exile on Main Street", che ora viene riproposto con dieci sfolgoranti pezzi inediti (tra cui il mitico "Pass the wine (Sophia Loren"). La celebrazione prevede anche un libro edito da Il Saggiatore, in cui Bill Janowitz propone una sapida guida all'ascolto, e un dvd-documentario sul dietro-le-quinte delle registrazioni, che sarà presentato oggi a Cannes da Mick Jagger. Ma cos'è stato "Exile on Main Street"? Di certo, uno dei quattro o cinque dischi fondamentali della storia del rock, insieme a "Sgt.Peppers" dei Beatles, "The Dark Side of the Moon" dei Pink Floyd, il primo dei Led Zeppelin e "Blonde on Blonde" di Dylan. Gli Stones lo concepirono in Francia, a Villa Nellcote, dove Richards era andato a vivere. Una casa con un'ombra sulfurea: era stata un centro di smistamento nazista, sui muri potevi vedere le svastiche, e nei sotterranei dove il gruppo incideva - di solito tra mezzanotte e l'alba - furono trovate le fiale di cianuro con cui i gerarchi avrebbero dovuto suicidarsi, pur di non arrendersi. Quei tanti brani furono poi messi in ordine a Los Angeles, dietro quella sordida Main Street dove, diceva Mick, «potevi vedere i magnaccia e lo scintillio dei coltelli». In quel contesto, con gli anni Sessanta tramontati nella disperazione e il sogno del '68 già archiviato, e i Settanta che si erano aperti con il morto tra il pubblico al festival di Altamont, in una paurosa sensazione di decadenza e nichilismo, "Exile" si rivelò un irripetibile, incendiario cocktail di rock, blues, country, soul, gospel dal sapore fortemente umido, terrigno, sensuale, clandestino e beffardo. Con gli Stones che voltavano le spalle alla psichedelia (pur immersi nella droga fino alla punta dei capelli) per far pensare al mondo che loro, miliardarie superstar, fossero degli outsider post-hippy, dei ribelli a tutto tondo e non istrioni da jet-set. Un trucco sociale, ma meravigliosamente credibile. Quando uscì il disco Jagger disse: "Dio, dopo di questo cosa faremo e quanto durerà?". È durata una vita, ma il rock non è mai stato così abbacinante come in quel crocicchio buio della Storia.  

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