Riflettori sulla famiglia Dall'idillio al tracollo
Secondouna voga, del resto, ormai abbastanza diffusa nel cinema italiano. Questa volta, però, a differenza di «Mio fratello è figlio unico» che si riferiva al passato, o comunque agli anni roventi del dopo '68, con uno sguardo decisamente rivolto al presente, anzi all'attualità di questi nostri anni così contraddittori e turbati. Eppure si comincia con un idillio: Claudio ed Elena, giovani sposi con due figli piccoli, che si amano teneramente. Con un solo problema, la scarsità di denaro perché lui lavora in una impresa edile dove, nonostante un gestore corrotto, non cede un solo momento alle lusinghe di comportamenti disonesti e redditizi. Ma ecco che tutto si rovescia. La moglie muore di parto lasciandogli tra le braccia un terzo bambino e Claudio, per rifarsi e vincere il suo lutto, decide di far molti soldi ricorrendo addirittura a un ricatto per costringere il gestore dell'impresa a concedergli in subappalto certi lavori nel cantiere. Contrae molti debiti, sfrutta cinicamente con compensi in nero degli indifesi operai quasi tutti extracomunitari, ma, pur agli inizi vincendo, tira troppo la corda e rischierebbe il tracollo se non intervenissero parenti ed amici a metterlo in condizione di riprendersi. Sempre, però, passando sopra a qualsiasi principio di onestà. Lo lasciamo così, senza che intenzionalmente ci si dica se, mentre torna a godersi l'affetto dei figli, una presa di coscienza possa metterlo in futuro su strade più giuste. Luchetti il testo se l'è scritto con Rulli e Petraglia e, pur dando spazi, con tutta l'attenzione possibile, a quel radicale mutamento di intenzioni e di gesti del protagonista, gli ha costruito attorno, con accenti colorati e felici, una galleria di personaggi solo in apparenza secondari, ma capace ciascuno di dare il suo contributo al procedere dell'azione. Con pagine in cui poi la regia, quasi sempre guidata dalla macchina a mano, ha mostrato di saper alternare i ritmi più affannati e spesso anche angoscianti a pause di intensa emozione. Come la scena muta e distante in cui Claudio apprende la morte della moglie o quella, concisa ma intensa, che lo induce a svelare a un giovane sempre pronto a fidarsi di lui il suo colpevole silenzio su un incidente nel cantiere che aveva provocato la morte di suo padre. Qualche scompenso narrativo e una certa insistenza in situazioni solo marginali sono comunque riscattati da una interpretazione sempre salda e felice a cominciare da quella di Elio Germano, un protagonista di una gestualità e di una mimica mobilissime e prodighe di espressioni anche forti. Fra gli altri, Isabella Ragonese, la moglie, Raoul Bova, un fratello, Giorgio Colangeli, il gestore, Luca Zingaretti, Stefania Montorsi. Tutti guidati con meditata sapienza.