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Flamenco: la magica danza che spopola nel mondo

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La danza latina, un cult che spopola nel globo.C'è il tango, nato dall'altra parte dell'Atlantico, entrato per decreto Unesco nel patrimonio culturale dell'umanità. Si esalta a Buenos Aires come a Berlino, conquistando sempre più adepti e appassionati. Non meno carismatico, nella vecchia Europa, il flamenco andaluso. Incendia platee, ma anche aspiranti bailaores di tutte le età che, in palestre o sale da ballo, tentano la difficile seduzione del baile flamenco. I più recenti capitoli focali della fortuna del flamenco nel mondo sono noti: per i brizzolati indimenticabile resta l'immagine del «ribelle» Antonio Gades, che non era neppure andaluso di nascita, mentre per i più giovani basta il nome dell' idolatrato Joaquin Cortes. Che il flamenco sia diventato ormai anche a Roma fenomeno di aggregazione lo dimostra il pullulare dei corsi in città, sia all'interno di scuole di danza classica o moderna, che in appositi spazi come quello della pluridecennale compagnia di Isabel Fernandez Carrillo, ma anche il fatto che un Municipio, il XII, presenta domani sera all'Auditorio S. Chiara (Via Caterina Troiani all'Eur Torrino) uno spettacolo dal titolo «Canta Historias», ideato da Paolo Monaldi con musiche di Sergio Varcasia alla chitarra, basato sul linguaggio flamenco: un excursus sulla tradizione gitana di suoni e canti a confronto con quella senegalese. Insomma il flamenco come legame tra culture etniche diverse, ma anche tra passato e presente. Ma lo spettacolo clou della settimana è quello che, alla fine di una tournée che ha toccato tra l'altro Torino, Milano e Bologna, va in scena stasera al Teatro Olimpico (repliche sino a domenica) e che vede alla ribalta Los Vivancos, sette strepitosi fratelli, tutti belli e bravi, uniti da un insanabile amore per il flamenco. Chi li ha visti a Villa Pamphili due estati fa ne ricorda il dinamismo scattante ed energetico, la forza inarrestabile del movimento, il ritmo incandescente delle musiche tra battiti di mani e accordi di chitarre. Un flamenco, il loro, in cui stranamente non si risente l'assenza della bailaora con i suoi fruscii di gonne colorate e la sinuosa seduttività. Un evento spettacolare che nasce da un singolare affiatamento, da un modo perfetto di stare in scena scaturito da un apprendistato in famiglia sin dagli anni dell'età verde. Elias, Josua, Josuè, Christo, Aaron, Israel e Judan sono cresciuti a latte e flamenco e sono divenuti dal 2004, anno della fondazione del gruppo, un fenomeno mediatico registrando esauriti dal Canada ad Israele. Ciò che li unisce è quello che Garcia Lorca chiamava il «duende», lo spirito, il fuoco fatuo che anima incessantemente il danzatore in una sorta di spasimo senza fine. Anche qui il flamenco subisce modifiche e contaminazioni con il funk ed il balletto classico-moderno, ma sempre ad alto tasso tecnico-virtuosistico. La musica è rigorosamente dal vivo ( spesso anche i fratelli suonano qualche strumento) ed anima gli splendidi corpi (ora a petto nudo, ora con attillate camice o boleri). Come sette differenti strumenti musicali che si accordano insieme, i sette fratelli dalla forte carica dionisiaca sprizzano simpatia e verve, ma soprattutto trasmettono emozioni primordiali in una sequela crescente di danze di forte impatto come bulerias, soleas, tango e jaleos. Un'antologia di passione flamenca che, come ogni passione autentica, è contagiosa.

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