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Orsini: "Due scienziati e l'etica, che bel testo"

Una scena di

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È nato a Udine undici anni fa e da allora Umberto Orsini, che ne è interprete con Giuliana Lojodice e Massimo Popolizio per la regia di Mauro Avogrado, lo ripropone ogni due anni, quando tutti e tre sono liberi da altri impegni. Si tratta di «Copenaghen» di Michael Frayn, in scena all'Eliseo dall'11 al 23 maggio. Orsini, come mai lo ripropone a Roma per la terza volta? È uno spettacolo di culto, ormai. Un piccolo miracolo teatrale che peraltro non tratta temi usuali del teatro borghese, l'amore, l'abbandono, il denaro. Parla di un incontro realmente avvenuto nel 1941 nella Danimarca occupata dai nazisti, tra il fisico ebreo Niels Bohr e il suo allievo Werner Heisenberg, anche lui fisico importantissimo. La gente ne rimane coinvolta. E, dando fiducia al pubblico romano, abbiamo deciso di riproporlo, pur sapendo quanto Roma sia rischiosa. Ma ogni tanto un esperimento si può fare. È bello che a fine stagione ci siano spettacoli importanti. Quali, secondo lei, le ragioni di questo lungo successo?  I due scienziati stanno lavorando alla fissione dell'uranio, cioè a strumenti che possono distruggere l'umanità. È un grande problema morale, attuale anche oggi. La commedia attrae per questo, la curiosità del soggetto, la passione che i due mettono nella discussione. E perché recitiamo bene. C'è anche un linguaggio molto vario. Già, le parole, il nocciolo del teatro. I personaggi parlano come se fossero al passato e riproducono con un tono di voce momenti quasi in presa diretta di quanto avvenuto prima. Pur parlando ad alta voce, si capisce che stanno pensando. Un giovane senza una certa esperienza, una certa cultura anche teatrale, non arriverebbe a questo tipo di risultato perché proprio non ce l'ha nel suo Dna. La gente non è abituata a questo ritmo, a questa aggressività, a questa misura del gesto.  C'è un filo conduttore che guida le sue scelte?  Le mie scelte sono determinate da un fattore umano e un interesse di persona che fa questo mestiere non solo per narcisismo. Anche qui divido il successo coi miei compagni, non da protagonista. Quando lo spettatore esce, deve essere leggermente diverso da come è entrato, per un sentimento, una preoccupazione, un tema sociale a cui non aveva pensato. Teatro etico.  Il mio filo rosso è la qualità, quella che mi hanno insegnato i miei maestri, De Lullo, Ronconi, Zeffirelli. Sono l'anello di congiunzione fra quel grande passato e il presente.

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