Artisti veri e pataccari
Arrivain libreria il saggio più gustoso del 2010: «Si crede Picasso», sottotitolo: «come distinguere un vero artista contemporaneo da uno che non lo è», edito da Mondadori. Se pensate a un istant book, tipo manualetto per decidere cosa appendere al muro del corridoio, sbagliate di grosso. Sono presi in esame, con nomi e cognomi, i massimi artisti del '900, alcuni dei quali vivi e vegeti. Tutti «mostri sacri» trattati senza un briciolo di timore reverenziale e, in alcuni casi, clamorosamente bocciati. L'autore che firma il libro è uno di quelli «pesanti»: Francesco Bonami, fiorentino, esimio critico d'arte, già direttore della Biennale di Venezia. Sicuramente un «professorone», ma non nuovo a tempestose sortite letterarie come «Lo potevo fare anch'io» (2007), e «Dopotutto non è brutto» (sempre del 2007). Iniziando la lettura di «Si crede Picasso» l'importante è non pensare di avvicinarsi ad un libro sull'arte, che poi lo sarà pure, ma assolutamente spoglio di quel pomposismo ermetico che rende, solitamente, elefantiaci e soporiferi, i testi d'arte. «Si crede Picasso» è soprattutto un divertente libro di costume nel quale l'autore parte da presupposti ferrei e incrollabili, quanto assolutamente soggettivi, cioè che: primo, Pablo Picasso è l'unico vero artista del '900; secondo: tutti gli artisti vorrebbero essere Picasso; terzo: alcuni si avvicinano al modello di perfezione di Picasso (i veri artisti), gli altri sono imbrattamuri spacciatori di bufale. Senza mai perdere di vista queste «pietre miliari» Bonami prende di petto una quarantina (quarantuno, per la precisione) artisti, sezionandoli come un cuoco giapponese squarta i pesci per preparare il sushi. Di Arnaldo Pomodoro, vivo e vegeto, che potrà perciò telefonare al critico e di mandarcelo, dice che guardando i suoi dischi di bronzo viene voglia di farli saltare con la dinamite. Poi lo paragona a Giulio Andreotti (anche lui avrà facoltà di protestare con l'autore) e afferma che è per la veneranda età che Pomodoro non ricorda quante opere uguali ha fatto. Ma alla fine promuove questa sua ossessione e lo definisce artista vero. Scioccante il capitolo su Emilio Vedova, l'«intoccabile», maestro della pittura informale, con uno stuolo di agguerritissimi ammiratori. Vedova è «rimandato», nel senso che per un periodo della sua vita ha fatto arte, ma quest'uomo con il look da artista, soprattutto per l'immenso barbone, al quale deve buona parte della sua fama, ha trascorso anche molto tempo in pratiche, secondo Bonami, di carattere onanistico. Evviva, una boccata di salute in confronto a quello che tocca al povero Igor Mitoraj, artista tedesco con il «pallino» delle antiche sculture greche e romane. In un capitolo esplicitamente intitolato «Li mitorajcci tuoi!» afferma che le sue sculture «sono orrende» e senza mezzi termini gli consiglia di dedicarsi a qualunque attività che non sia l'arte. Passano al vaglio, con alterne fortune, Bill Viola, Maurizio Cattelan, il povero illustratore Folon (trattato malissimo), Edward Hopper e tanti altri. Se questo libro, come capita ad opere particolarmente felici, è stato scritto in una notte, si ha l'impressione che, nella sera precedente, Bonami si sia «sciolto la penna» con un paio di bicchierini. Certo è che il suo scrivere irriverente si beve tutto d'un fiato.