Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Quindici aborti in 15 anni «Scritto col mio sangue»

default_image

  • a
  • a
  • a

OdiliaAnaclerio Quindici aborti in 15 anni. È la vera storia che Irene Vilar, scrittrice e agente letteraria, racconta nel suo libro «Scritto col mio sangue» (Corbaccio, pag.260). Irene arriva da Porto Rico. Sua madre è morta suicida davanti ai suoi occhi quando aveva solo otto anni. Sua nonna, storica attivista portoricana, ha passato la vita in galera. Due dei suoi fratelli sono tossicodipendenti. Un padre totalmente assente la manda a studiare negli Stati Uniti quando lei era solo un'adolescente. Al college s'innamora del suo professore di letteratura iniziando una storia d'amore. Lui cinquantenne lei appena diciassettenne. Dopo pochi anni si sposano. Una relazione travolgente, squilibrata. Segnata da contrasti e da quindici interruzioni di gravidanza. Lui le impone di non avere figli. Lei è completamente succube, da una parte li desidera, resta incinta, ma non ha la forza di opporsi, di capire cosa vuole. Leggere la storia di Irene Vilar significa anche vivere sentimenti contrastanti, come quelli raccontanti nel libro. Accanimento nel voler capire perché. Con un nuovo approccio si affronta il tema da sempre controverso dell'aborto eppure alla fine ci si accorge che «Scritto col mio sangue» racconta soprattutto la vita. «Il mio libro racconta un contesto particolare, un utilizzo particolare dell'aborto e della gravidanza come uno strumento per spiegare i propri problemi. Una giovane donna che è ai ferri corti con il suo corpo e con la sua vita. Il libro è un tentativo di fare una radiografia di una patologia. Ho deciso di scrivere perché ero profondamente convinta che ci fossero milioni di donne che potessero identificarsi con la mia storia. E poi ero anche profondamente convinta che il mio orrore privato avesse dei fortissimi legami con la storia e la cultura del mio paese, con la storia e la cultura del colonialismo americano a Porto Rico». Oggi, sono ancora in pochi a conoscere questa realtà. A partire dagli anni trenta, e per lungo tempo a seguire, gli americani utilizzarono Porto Rico come laboratorio per la ricerca anticoncezionale. Avviarono un programma di sterilizzazione coatta inflitta alle donne del luogo. Tra queste la madre di Irene Vilar. «Ho usato questo progetto americano per disegnare tratti di personalità di mia madre. Una donna che era stata addirittura abusata da questo progetto post coloniale americano. Questi temi non vengono utilizzati nel libro come una scusa per negare le azioni da me stessa commesse. Queste cose vengono descritte per contestualizzarle meglio. Per fornire un mio contributo a questo tema». Irene Vilar non si schiera da nessuna parte nel dibattito sull'aborto. Questo libro va ben oltre la dimensione della politica. «Fino ad ora, secondo me, la discussione circa l'aborto si è limitata ad una riflessione un po' troppo meccanicista. Dobbiamo valutare elementi legati alla psiche, ai modelli repressivi, ai messaggi che vengono dalla società, all'ignoranza sui temi sessuali. Quando riusciremo a capire che il corpo di una donna è molto più complesso, che non una semplice macchina allora forse saremo in grado di parlare dell'aborto senza senso di colpa, senza senso della vergogna e saremo in grado di fornire alle donne uno strumento migliore e più forte per analizzare e gestire il potere della fecondità, soprattutto a partire dall'età adolescenziale. Anche mediante l'istruzione sessuale nelle scuole». E il ruolo di assistenza psicologica negli ospedali? Sembrerebbe del tutto inesistente di fronte ad un caso come il suo. «Accettare l'aiuto psicologico da parte degli ospedali sarebbe stata una scelta sana, cosa che non avrei potuto fare perché non c'era una situazione di sanità mentale. Non c'era la volontà di farsi liberare da questi fantasmi e da queste fantasie che avevo io stesso creato». Nel suo libro non c'è mai una manifestazione di condanna esplicita nei confronti del suo ex marito. Il professore. Perché? «È stata una scelta strategica. Io attraverso questo libro volevo assumermi la responsabilità delle mie azioni. Senza vittimismo, senza accusare nessuno per giustificare quello che ho fatto. Volevo puntare l'attenzione sul potere di assumersi piena responsabilità delle proprie azioni e affrontarle a viso aperto». Oggi Irene Vilar ha due figlie, un uomo che ama e da cui è amata e sta già lavorando ad un nuovo libro. Sulla maternità.

Dai blog