Pio Pullini e il pennello usato come una frusta
Chebella mano aveva Pio Pullini, un «geniaccio» delle arti figurative, grande protagonista della prima metà del '900, ritrattista, illustratore, pittore, un po' vignettista e... tanto altro. Fosse nato negli Stati Uniti sarebbe stato più famoso di Norman Rockwell, ma il destino lo inviò in Italia e oggi, a cinquantacinque anni dalla morte, in pratica è uno sconosciuto. Complice anche una sua artistica allergia a correnti e schemi che lo ha fatto sempre essere uguale solo a se stesso. Pullini nacque nel 1887 ad Ancona, ma fu romano di adozione e cittadino del mondo nel cuore. La sua formazione culturale fu quella classica dell'800, un secolo nel quale avere mano ed occhio felici era un bel tesoro. Di queste qualità si accorse subito il grande pittore Giulio Aristide Sartorio che seppe valorizzarlo. Ma Pullini non amò mai la retorica monumentale di Sartorio e ben presto seguì la sua strada, una strada fatta di rigore artistico e assoluta padronanza delle tecniche, di amore per il realismo e di una carica fortissima di umorismo ed ironia. Al grande pittore è (finalmente) dedicata una bella mostra a Palazzo Braschi: «Pio Pullini e Roma. Venticinque anni di storia illustrata (1920 - 1945)». Una mostra che svela al visitatore l'universo grande ed eterogeneo della sua arte. «Pullini fu un attento e sensibile cronista della sua epoca - ha spiegato l'assessore capitolino alla Cultura Umberto Croppi presentando l'evento - raccontando, attraverso le tavole realizzate per “La Tribuna Illustrata”, “L'Urbe” e per molte altre testate, la storia della città, dal Ventennio alla Liberazione, con abilità e maestria, fissando scene, tipi e circostanze di una realtà in rapida trasformazione. L'immediatezza del suo linguaggio in cui ironia e pietà si fondono, è capace di farci ripercorrere gli eventi grandi e piccoli della nostra storia restituendoceli nella loro dimensione più quotidiana». La produzione di Pullini è di notevolissimo interesse. Le sue nature morte rivelano una padronanza dell'arte pittorica che sembra appartenere più al Seicento che al secolo scorso. Bellissimi gli autoritratti e delicati i nudi di donna. Ma quello che colpisce di più sono i suoi acquarelli satirici: un po' James Ensor, un po' Grosz (che era di poco più giovane), ma fondamentalmente solo se stesso, Pullini rappresenta la vita quotidiana di Roma e dell'Italia, specchio impietoso di una realtà piena di contraddizioni che prima, durante e dopo il Ventennio sembra cambiare di poco.