Fori illuminati per la più antica famiglia dell'Urbe
Èla sera finalmente tiepida e le antichità che il mondo ci invidia illuminate mentre avanza la notte. Il Natale di Roma, il compleanno numero 2763 della caput mundi, non poteva cominciare meglio. Perché ieri non soltanto la basilica Emilia ha aperto le porte per una mostra che recupera il suo fregio di marmo, da tempo invisibile al grande pubblico. Ma è stata anche illuminata con led, luce suggestiva che fa risaltare il mosaico marmoreo del pavimento e lo scatto verso l'alto delle colonne. Un evento, salutato tra gli altri dal sottosegretario Giro e dal sindaco Alemanno. E l'avvio di un programma di illuminazione dei Fori che la capitale da troppo attende. Entro l'anno, già forse dopo l'estate, come è nelle intenzioni del sovrintendente archeologico di Roma Giuseppe Proietti, tutti i monumenti che spiccano lungo la Via Sacra, dal Campidoglio all'Arco di Tito, saranno illuminati. «L'anno dopo, il centocinquantesimo dell'Unità, toccherà al Palatino - anticipa Giro - Domani avrò un incontro con il presidente dell'Acea Giancarlo Cremonesi. L'obiettivo è arrivare a un'illuminazione stabile e rispettosa delle nostre antichità secondo il progetto dell'architetto Piero Castiglioni che ha già lavorato alla Gare d'Orsay, a Palazzo Grassi e a Brera. E pensiamo anche alle cupole del Borromini. Roma è una delle capitali peggio illuminate di notte. Bisogna invertire la rotta». Ma che cosa racconta la Basilica degli Aemilii? I rilievi del fregio, in parte esposti al Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo, ma ora finalmente riuniti nella vicina Curia Iulia, ripercorrono la storia delle origini dell'Urbs. Il ratto delle Sabine da parte dei rudi uomini di Romolo, prima di tutto. Poi, la punizione di Tarpea, la vergine vestale che sperando in una ricompensa in gioielli aveva aperto ai Sabini le porte della città. E per questo fu punita dagli stessi Sabini e seppellita con i loro scudi. Dagli anni più lontani, dalla vicenda di un nucleo abitato da gente fiera e feroce ancorché di mitiche origini, al consolidamento del regno, ancora in un'aura leggendaria. La gens Aemilia discende dal re Numa Pompilio e nel periodo repubblicano si rafforza. La Basilica che domina il Foro è del 179 avanti Cristo, dunque fu costruita dieci anni dopo l'impresa della via Emilia, la strada che collegava Rimini con Piacenza e altre due arterie romane: la Flaminia, consolare che partiva da Roma e appunto a Rimini terminava, e la via Postumia, che da Piacenza giungeva in Veneto. È l'opera che dà immortalità al console Marco Emilio Lepido. E il trionfo dei patrizi che discendevano da uno dei sette re è testimoniato dalla costruzione della Basilica Aemilia. Che segna un cambiamento nell'uso di questi edifici tanto centrali nella civiltà romana. Dice Maria Antonietta Tomei, direttrice del Foro Romano e del Palatino e responsabile della mostra: «Proprio la Aemilia fu la prima basilica a trasformarsi, da spazio in cui si svolgevano attività economiche e giudiziarie - così come avvenuto nella Roma repubblicana a partire dal secondo secolo avanti Cristo - a edificio anche "politico". Infatti gli Aemilii la usarono come monumento familiare, facendovi collocare le immagini dei propri esponenti più illustri». Ecco allora Numa Pompilio, a sottolineare l'intreccio tra le memorie del casato e la storia di Roma. Ecco il bellissimo ritratto di Marco Emilio Lepido, il collega di Ottaviano e Marco Aurelio nel secondo triumvirato, periodo cruciale della vicenda della caput mundi, vicina ormai al passaggio dalla repubblica all'impero. S'azzera lo scarto tra il politico al servizio della cittadinanza e il politico assetato di potere, teso al culto della propria personalità. Così nelle basiliche cominciano ad affollarsi schiere di ritratti: donne, bambini, uomini apparentati tra di loro. Anche questo documenta la mostra al Foro, che resterà aperta fino al prossimo 26 settembre. Con statue e ritratti provenienti oltre che dalla Aemilia anche dalle basiliche Noniana di Ercolano, da Luni, da Velleia e da Lucus Feroniae svelerà l'uso dello spazio pubblico come palcoscenico del potere. Soprattutto imperiale.