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«Vi racconto come si vive facendo il matto a Roma»

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Il grande affabulatore della borgata romana (suo padre restaurava mobili al Quadraro e sua madre faceva la parrucchiera a Tor Pignattara da uno che aveva tagliato i capelli al Re d'Italia) passa dal teatro al cinema. Ascanio Celestini porta, infatti, sul grande schermo la trasposizione del suo spettacolo «La pecora nera», storia di disagiati mentali. Sul set, da pochi giorni allestito nell'ex manicomio romano di Santa Maria della Pietà, recitano una serie di personaggi interpretati di volta in volta da Maya Sansa (Marinella), Luisa De Santis (la suora), Barbara Valmorin (la nonna), Nicola Rignanese (il padre), Luigi Fedele (Ascanio bambino) e Wally Galdieri (Marinella da bambina). Nel film, in attesa di essere selezionato alla prossima Mostra di Venezia e prodotto da Madeleine srl, Rai Cinema e Bim, i protagonisti sono Alberto Paolini (Giorgio Tirabassi) e il suo infermiere (Ascanio Celestini), due personaggi la cui identità è poco chiara, l'uno appare come la proiezione dell'altro. Tirabassi, che tipo è il suo personaggio? «La storia è quella di Alberto Paolini, che è stato rinchiuso per 42 anni fino al 1992 nel manicomio romano che oggi non c'è più. Al posto dei malati, c'è gente che fa jogging, tra anziani e bambini, nel parco che adesso ospita l'Asl e il Museo della Mente. Il mio personaggio è sdoppiato, ha un forte disagio mentale e soffre di ossessioni sessuali, ma non è violento ed è innamorato di Maya». A chi si è ispirato per interpretare un disagiato mentale? «A nessuno in particolare. Anche perché volevamo essere lontani dai soliti stereotipi. Abbiamo cercato di tirare fuori un uomo schizofrenico, ma come lo sono un po' tutti al giorno d'oggi. Paolini, però, è succube del suo infermiere che è in realtà il suo alter ego». Ricorda il periodo in cui andò in vigore la legge Basaglia, che aprì le porte dei manicomi? «Sì, ricordo bene quegli anni, anche perché abitavo a Monte Mario e subito dopo la legge Basaglia, vedevo sugli autobus tante persone strane che uscivano di giorno e la sera tornavano nelle loro case-famiglia. Ricordo soprattutto delle donne truccatissime, che si guardavano intorno con l'aria smarrita e stralunata». Quanto è servita la legge Basaglia ai malati di mente? «È stata fondamentale. Prima il matto era legato a letto, veniva massacrato dagli elettroshock. Venivano messi tutti insieme, oppressi, come è capitato anche a personaggi del calibro di Dino Campana o Alda Merini. Basaglia mise in discussione il concetto di autorità e il diritto alla libertà». Però, oggi, molti di loro sono ancora abbandonati a se stessi e vagano per la città.. «Questo è un problema, ma credo che di gente abbandonata ce ne sia sempre meno. I "diversi" vivono nella società, in mezzo agli altri e si sentono meno malati. Certo, è importante continuare a curarli e a seguirli il più possibile».

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