L'ebraismo rivisitato con ironia
Cometanta letteratura firmata da autori di prestigio, come tanto cinema che la segue, spesso però con ispirazioni autonome (Woody Allen, i fratelli Coen). Questa volta senza molti voli, ma in cifre in cui, pur con modi semplici, nel candore filtra l'ironia e la comicità accoglie anche note pensose, con echi in cui si ascoltano drammi lontani. Il regista, e autore del testo, è un ebreo belga, Micha Wald, incline a permeare di umorismo anche delle pagine qua e là derivate dalla sua biografia. Il protagonista, il Simon Konianski del titolo, ha superato la trentina, ebreo non osservante, ha sposato una «gay», cioè una cristiana, da cui ha avuto un figlio che non ha fatto circoncidere e che adesso vive con lui dopo che i due si sono separati. Simon, però, che non ha lavoro, anche perché non lo cerca, vive in casa del padre, un ex deportato assillato di continuo dal ricordo delle persecuzioni naziste. Quando questi muore, per assecondare le sue ultime volontà - farsi seppellire in Ucraina dove ha le sue origini - Simon si vede costretto a mettersi in viaggio in automobile, occultandovi la salma e scortato sia dal figlio sia da una coppia petulante e bisbetica di zii, violando, durante tutto il lungo percorso, quasi tutte le regole, comprese quelle della velocità. Riuscendo comunque nel suo intento. Intanto, appunto, quella famiglia ebrea, raccontata da uno di loro e, per interposta persona, dal regista del film, poi le peripezie di quel viaggio che qua divertono, per contrattempi ed incidenti d'ogni sorta scaturiti spesso da incontri curiosi e pittoreschi (una comunità, ad esempio, che parla solo Yddish), là, sia pur con misura, sfiorano la commozione (come la visita non prevista che padre e figlio fanno proprio in un campo di concentramento in cui il padre e lo zio erano stati rinchiusi). In atmosfere affettuose, anche quando la satira vi è sottesa, con una galleria di personaggi che vi si fanno emergere sempre con molto colore, mai privandola comunque di affabilità e di garbo. Proprio perché è vissuta da uno che intimamente vi partecipa. Gli dà volto, rappresentando l'autore che vi si riflette, un attore francese piuttosto noto, Jonathan Zaccaï, affiancato, per il personaggio del padre, da un collega anche più noto, il comico parigino Popeck qui pronto abilmente anche a note più serie.