La vita di Oriana Fallaci diventa una fiction tv
Nel dicembre del 1980, Oriana Fallaci incontrò sotto la tenda da beduino il despota libico Muhammar Gheddafi che le concesse un'intervista nella quale si permetteva di "processare" culturalmente l'Italia. Tra le altre sconcezze il colonnello disse: «Del resto, nel Medioevo, siamo stati noi a civilizzarvi. Eravate poveri barbari, creature primitive e selvagge... La scienza di cui ora gioite è quella che vi abbiamo insegnato noi, la medicina con cui vi curate è quella che vi abbiamo dato noi. E così l'astronomia che sapete, la matematica, la letteratura, l'arte… Sì, persino la vostra religione viene dall'Oriente. Cristo non era romano". Per nulla intimorita, la giornalista che già gli aveva contestato una volgare intemerata contro Israele, gli replicò a brutto muso: "Cristo era ebreo. Questa è una gaffe, colonnello". E da quel momento l'intervista ebbe un altro andamento. Per dire che la Fallaci era indomabile, come ha dimostrato in tutte le fasi della sua inimitabile carriera e come emergerà certamente dalla fiction proposta alla Rai dalla Fandango che il direttore Fabrizio Del Noce sta esaminando con la ferma volontà di realizzarla se si concretizzeranno le condizioni narrative, innanzitutto, perché il progetto diventi un prodotto televisivamente spendibile. Il problema è proprio la complessa vita della Fallaci, infatti, che dagli esordi giornalistici, subito dopo la guerra, alla quale aveva preso parte come staffetta partigiana, alla sua ultima crociata contro il terrorismo islamico non è facile da raccontare. La Rai, comunque, insieme con la Fandango ci vuole provare. E questa è già una buona notizia. I riflettori che si accederanno, se e quando il progetto andrà avanti sulla giornalista italiana più famosa e controversa del secolo scorso, metteranno in evidenza un grande pathos civile e culturale che non ha riscontri nel giornalismo militante contemporaneo, se si eccettua probabilmente Ryszard Kapuscinski, che ha contaminato la prosa, l'impegno culturale, la descrizione in pace e in guerra degli eventi che hanno scandito la seconda metà del Novecento. Dall'epoca dell'esordio al "Mattino dell'Italia centrale" a reporter di punta di "Epoca" e dell'"Europeo", fino ai rari, ma quanto significativi scritti per il "Corriere della sera", la Fallaci ha cercato di tenersi tutto nell'anima e nei taccuini che forsennatamente riempiva, dalle risaie del Vietnam alle speranze deluse americane in quel 1968 bruciante e luttuoso: nessuno come lei descrisse gli Stati Uniti orfani di Martin Luther King e di Bob Kennedy. Dai recessi della propria intimità, nella quale elaborava eventi dei quali era testimone volontaria, riusciva a trasmettere al lettore l'epoca che scorreva sotto le sue dita affusolate, in condizioni precarie o dalle suites dei grandi alberghi newyorkesi. Le sue corrispondenze erano talmente coinvolgenti che ci metteva se stessa come soggetto: accadde per esempio il 2 ottobre del 1968, durante una manifestazione di protesta degli studenti universitari messicani contro l'occupazione militare di un campus, quando per vedere da vicino, per rendersi conto "in diretta" rimase ferita nella piazza delle Tre Culture a Città del Messico da una raffica di mitra. Non fece cenno nel suo reportage all'incidente: di fronte a circa cento giovani che vennero massacrati era un dettaglio insignificante. Come era insignificante se stessa battendo India e Pakistan, Sud America e Medio Oriente, o incontrando la storia, che tra gli altri portava i nomi di Giap e di Arafat, di Hailé Selassié e di Kissinger, di Golda Meir e di Deng Xiao Ping, di Gandhi e di Van Thieu. Ma soprattutto di Alekos Panagulis, l'uomo che conobbe il 21 agosto 1973, e che non sarebbe più uscito dalla sua vita, come quel bambino mai nato a cui dedicò la famosa "Lettera" che fa il paio con "Un uomo" consacrato all'oppositore greco al regime dei colonnelli. Grande letteratura, grande giornalismo. Ma la sua storia personale forse supera quella pubblica che ha raccontato. La ritroviamo nei libri nei quali autobiografia ed esperienza spirituale e letteraria si fondono mirabilmente, da "Insciallah" alla "Forza della ragione", nel quale si dichiarava "atea-cristiana". L'11 settembre sconvolse il suo mondo che peraltro mai era stato sereno. E dichiarò guerra all'Eurabia. Non si risparmiò fino agli ultimi giorni di vita. Minata dal cancro, si abbandonò alla ricerca della fede sul limitare del confine ultimo, come testimoniò monsignor Rino Fisichella. Era il 15 settembre 2006 quando chiuse gli occhi sul mondo che aveva attraversato palmo a palmo, nella sua Firenze dove era nata settantasette anni prima. Testimone del tempo, è stata amata alla fine anche da chi l'aveva avversata. E ne era contenta, anche se non lo faceva sapere. Sarebbe felice nell'apprendere che la Rai si sta ricordando di lei. Speriamo che non sia soltanto una buona intenzione.