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De Chirico torna nelle piazze più amate

Giorgio De Chirico

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Chissà come avrebbe reagito Giorgio de Chirico (1888-1978) se avesse avuto la possibilità di visitare l'ampia mostra che gli viene dedicata da oggi al Palazzo delle Esposizioni, omaggio di Roma all'inventore della pittura metafisica che vi si trasferì stabilmente dal 1944. Forse avrebbe sfoderato un sorriso ironico di fronte al titolo, «La Natura secondo de Chirico», lui che era stato considerato da Apollinaire come il pittore più cerebrale, misterioso ed intellettuale d'inizio ‘900. Lui che voleva andare al di là dell'umano, vedere le cose ordinarie in modo straordinario, «creare soluzioni sconosciute in passato, liberare la pittura una volta per tutte dall'antropomorfismo». E poi ci avrebbe lanciato uno sguardo scettico e stupefatto. Ecco perché l'interpretazione che offre con questa mostra un critico vulcanicamente creativo come Achille Bonito Oliva sfiora il paradosso, la provocazione e la boutade. Il titolo della rassegna è una sorta di gioco di parole, un rebus, quasi un ossimoro che unisce due contrari, cioè la natura da una parte e de Chirico dall'altra, visionario per eccellenza al perenne inseguimento della rivelazione e del demone nascosto in ogni cosa. «Il concetto di natura – ha detto Bonito Oliva – affiora costantemente nella sua opera. È natura materna e matrigna, mediterranea e filosoficamente nordica». Ma a guardare bene il termine «natura» è inteso in senso onnicomprensivo, come un passepartout da applicare alle parole-chiave della sua ricerca, come svelano le sette sezioni in cui si articola la mostra: «Natura del mito», «Natura dell'ombra», «Natura delle cose» e via di seguito. Insomma, è una fantasiosa invenzione che però è difficile presentare come una nuova interpretazione critica anche se è stimolante l'idea di non seguire uno scontato percorso cronologico, con la volontà di mescolare le carte, come spesso amava fare lo stesso de Chirico.   E forse più che di natura sarebbe bene parlare di «terribile naturalezza», come fa Luca Massimo Barbero nel suo bel saggio in catalogo citando lo stesso de Chirico: «È la terribile naturalezza, la logica inesorabile che ogni oggetto destinato a stare per immutabili leggi di gravità sulla crosta del globo-terra, si porta stampata nel Centro». La scelta migliore da consigliare al visitatore è quella di andarsi a cercare col gusto della scoperta parecchi capolavori fra le 140 opere provenienti da prestigiosi musei come il Moma di New York, la Tate Modern di Londra, il Musée d'Art Moderne de Paris, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, il Mart di Rovereto. E non mancano infatti diverse perle: «La matinée angoissante» (1912) con le sue ombre inquietanti e raggelate, «Souvenir d'Italie» (1912), «La Surprise” (1914), con la sua stupefacente foresta di colonne, «The Duo» (1914-15), «La grande tour» (1915), «I saluti dell'amico lontano» (1916), «Natura morta evangelica I» (1916), «The Poetical Dreamer» (1937) con quel bel volto d'uomo enigmaticamente coronato da un gruppo di cabine balneari. Particolarmente azzeccata è la scelta di alcuni quadri degli anni Venti: «Autoritratto con rosa» (1923), «Paesaggio romano» (1923), «Ottobrata» (1924), «Facitori di trofei» (1926-28), «Mobili nella valle» (1927). Sono forse troppe, ben venticinque, le opere degli anni settanta per una mostra ambiziosa come questa, che viene organizzata a conclusione delle celebrazioni dechirichiane del 2008-2009 e in corrispondenza della nascita della Metafisica, con la collaborazione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.   Anche se col passare del tempo affiora con sempre maggior forza, al di là dei vari periodi, una sorprendente coerenza del labirintico percorso dechirichiano sotto la veste di un'insopprimibile vocazione metafisica e di un profondo contenuto spirituale che non finiscono mai di stupire.

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