L'Inferno di Dante Alighieri nella sensualità del corpo libero
Sono solo sei i danzatori in scena (da stasera sino al 18 aprile al Teatro Olimpico) ma le immagini che evocano con i loro allenati corpi in movimento sono fantastiche, surreali, oniriche. Il proposito, dei più ardui, è nientemeno che quello di raccontare l'Inferno dantesco, la prima e più tragica delle tre tappe del grande viaggio spirituale del Sommo poeta fiorentino, in cui le diverse stazioni con i dannati e gli inflessibili giudici, i duelli virtuali tra angeli e demoni si realizzano figurativamente quasi in assenza di gravità. A firmare lo spettacolo è Emiliano Pellisari, un talentato regista-coreografo che da tempo lavora su questa dimensione del teatro corporeo. Creatore versatile e dalla sfaccettata personalità, Pellisari si è sempre dimostrato interessato al teatro ellenistico, a quello fantastico rinascimentale ed alle macchinerie seicentesche. Uomo dai mille mestieri (dal muratore al ferroviere), denuncia tra le esperienze compiute quelle di scrittore (fallito, dichiara), di sceneggiatore, regista sia cinematografico che televisivo, organizzatore e produttore teatrale, scenografo, illusionista e costumista. Insomma un vero e proprio artigiano dello spettacolo teatrale senza confini. «L'Inferno è un luogo simbolico popolato di personaggi mitologici – racconta l'autore - esseri umani dalle sembianze mostruose, come Minosse o Caronte, o mostri pensanti, come Medusa. È un luogo metafisico, uno spazio vuoto costruito dall'interno, costituito dai corpi dei dannati. Dante e Virgilio sono alle prese con le architetture viventi che popolano l'Inferno, costruzioni e macchine dove i corpi sono usati come elementi architettonici per costruire torri, geometrie, costruzioni fantastiche medioeval». Nello spettacolo sono tanti i luoghi simbolici evocati. «Il Limbo - prosegue il regista - dove vivono gli spiriti magni, è concepito come un mondo acquatico, lento, sospeso. I diavoli invece sono angeli ribelli dalle grandi ali che mentre scendono verso il suolo si trasformano i demoni lussuriosi. Altro luogo deputato il lago di Cocito dove i corpi sono imprigionati nel ghiaccio e appaiono quasi smembrati». Nella rappresentazione c'è anche spazio per la vicenda di Paolo e Francesca. «È la rappresentazione simbolica dei sette vizi capitali, come riflessi dallo specchio faustiano - spiega ancora Pellisari - Ma la pazzia, la disperazione dei dannati contrastano con l'amore cortese, dove la sensualità si confonde con la metafisica. Paolo e Francesca, ammaliati dal libro galeotto, si ricongiungono nel cielo prima di separarsi definitivamente». Fino alla soluzione finale, rappresentata da una stella di corpi. «Finisce con il prologo: sei corpi nudi costituiscono una stella vivente, che diventa prima la ruota della fortuna e poi una stella del cielo, da cui proviene la luce divina. Una doppia prospettiva, laica e religiosa, senza una mediazione impossibile».