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Sergio Di Cori «Ogni mezza verità è una menzogna intera» recita un antica massima del Talmud.

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Nonè quindi a caso, che Patrizia Mintz, giornalista investigativa italiana, abbia sentito l'esigenza di intitolare «Veritas» (Piemme Editore, pag. 280) il suo primo giallo d'autore, distribuito dalla Piemme, in uscita in questi giorni. Il protagonista del suo romanzo, il vicequestore Michele Arlia, accompagnato dal suo fido ispettore Panetta/Sancho Panza, è decisamente un Don Chisciotte post-moderno, alle prese con intrighi, corruzione, sospetti, imbrogli indistricabili, dove la tentazione della trasgressione alla Legge è sempre là, pronta a sedurre, per spingere verso il borderline l'inflessibile tutore dell'ordine costituito. Ma il poliziotto riesce a districarsi nei meandri di un'ineffabile mente criminale, facendo appello al suo amore per l'Arte, per l'archeologia, sondando antichi archetipi dell'inconscio collettivo che danno a questo romanzo il gusto sapore di un tocco squisitamente femminile. «Io penso che la presenza femminile in questo genere si stia facendo sentire sempre di più - sostiene l'autrice, Patrizia Mintz - ciò che mi incuriosisce è il recente passaggio nella scrittura delle autrici da un linguaggio meno duro, più soft rispetto agli autori, fino ad arrivare quasi a superarli, vedi Tess Geritsen. Ritengo che le donne abbiano dimostrato di saper descrivere il Male». Ed è davvero molto originale il tono scanzonato e lieve che il poliziotto Arlia, indiscusso protagonista del libro, infonde nella storia, portando per mano il lettore dentro un complesso labirinto, dove il gusto del macabro, della morbosità, della “irreale cattiveria del mondo d'oggi” si coniugano con lo spasimo del thriller ben congegnato, seguendo una traccia dal tocco femminile che fa di Arlia un delizioso personaggio metaforico, vero e proprio simbolo delle insicurezze interiori nella realtà quotidiana della vita nelle grandi città occidentali. Una scrittura, quella della Mintz, che sembra aver preso in mano l'eredità della Mary Higgins Clark, spingendo il lettore non soltanto verso i consueti fiumi di colpi di scena, trappole dell'intelligenza e riferimenti colti, ma soprattutto ricordandoci di continuo le inevitabili intermittenze del cuore che il caldo e affettivo Arlia ci comunica di continuo. L'originalità e il gusto di questo libro, che si legge davvero tutto d'un fiato, sta proprio nell'abilità, da parte dell'autrice, di essere riuscita a coniugare le paure della modernità secondo un paradigma antico che fa appello al recupero della antica tradizione della cultura italiana. E non è davvero poco, di questi tempi.

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