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Da vivo, Giovanni Paolo II comunicava col suo corpo vigoroso, col suo sorriso, al tempo stesso dolce, umile e virile, con la sua parola, che ti abbracciava e ti ammoniva.

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Soloun'emozione, un "effetto speciale", una potente, coinvolgente suggestione? Sì, poteva essere anche questa la spiegazione: ma confusamente avvertivi che c'era qualcosa di più. Il segreto? Grande "comunicatore", Giovanni Paolo II, e grande "persuasore", anche per chi rimane "sulla soglia". Un uomo venuto da lontano, che ha saputo parlare a credenti e non credenti, come forse mai era avvenuto prima. Lo ha fatto da forte nella forza e da forte anche nella debolezza. Quando lo vedevamo portare la croce con immensa pena, e il suo corpo appariva devastato dal male, e lo sguardo si smarriva, e le parole venivano fuori strascicate, con affanno. Eppure, quanta e quanto vera e commovente "imitazione di Cristo" in quel Papa che sembrava affidarci un ultimo, estremo "non abbiate paura!". E cioè "non abbiate paura del dolore e della morte! E' anche in questo, soprattutto per questo, che siete in comunione col Dio che si è fatto uomo!". Elisabetta Lo Iacono, giornalista e docente di giornalismo presso la Pontificia facoltà teologica San Bonaventura-Seraphicum di Roma, ha rievocato immagini e parole di Giovanni Paolo II due anni fa in "Se mi sbaglio mi corrigerete", dandoci il compiuto "profilo" di una grande esperienza pastorale, dall'elezione avvenuta il 16 ottobre 1978 col Papa polacco che si affaccia al balcone e già annuncia un nuovo stile di pontificato, all'acclamazione " Santo subito!" nella Piazza San Pietro gremita di folla l'8 aprile del 2005, il giorno delle esequie. Bene, il nuovo libro della Lo Iacono, costruito con la consueta ricchezza di dati e limpidezza di riflessioni, e arricchito da testimonianze/interviste con uomini di Chiesa, vaticanisti, sociologi ecc. ("Caro Signor Papa. Cosa scrivono i fedeli a Giovanni Paolo II"), ci dice che la morte di Karol non solo non ha spezzato i fili della comunicazione - comunione ma li ha rafforzati. " Giovanni Paolo II - si legge - vive nella storia, nei ricordi, nella quotidianità di milioni di persone. Lo dimostrano in modo inequivocabile le ininterrotte visite alla sua tomba, nelle grotte vaticane della Basilica di San Pietro, come quei numerosissimi messaggi lasciati sul luogo della sepoltura o inviati alla sede della Postulazione per la causa di beatificazione e canonizzazione". E sono messaggi che evocano una dimensione "trinitaria" perché sono rivolti all'uomo, al papa, al santo. Ma che cos'è, anzi chi è un santo? Nella sua densa ricerca, Elisabetta Lo Iacono svolge anche questo tema, con puntuali riferimenti alla dottrina, alla storia, alla "attualità". E cita Giovanni Paolo II ("Giovani, non abbiate paura di essere santi! Volate ad alta quota, siate tra coloro che mirano a mete degne dei figli di Dio. Glorificate Dio con la vostra vita!") e Benedetto XVI, allora cardinale Joseph Ratzinger: "Un santo è un uomo che non blocca lo sguardo verso la luce di Dio, con l'ombra del suo essere personale, ma che invece, attraverso la purificazione della sua esistenza, è diventato una specie di finestra che, da questo mondo, ci lascia vedere la luce di Dio". Ecco, i fedeli che lasciano messaggi è come se si affacciassero a questa "finestra", per guardare, anzi, per "vedere". Specie oggi, il giorno in cui ricorre il quinto anniversario della morte di Karol. Il "loro" Papa è lì: buono ma non "buonista", umile e forte, accogliente. Gli vogliono bene. Lasciano sulla sua tomba luci votive, segni che testimoniano un pellegrinaggio, capi di abbigliamento per lo più di bambini, tra cui tutine, calzini, bavaglini, ma anche foulard, bandiere, libretti universitari con l'elenco degli esami sostenuti, referti medici, rose, anche in argento, come simbolo di amore terreno, ma anche mistico... E migliaia di messaggi che, insieme agli oggetti, sono raccolti ogni sera dal personale del Vaticano, collocati in sacchi e scatoloni, puntualmente consegnati alla sede della Postulazione presso il Vicariato di Roma. Sappiamo che il termine "edificante" è oggi giudicato obsoleto. Ma questi messaggi sono proprio edificanti: buoni e belli, fanno bene al cuore. C'è la dichiarazione esplicita di affetto e di devozione: «Sei stato un grande uomo, un grande papa e sarai un grande santo». C'è il rammarico per aver scoperto tardi un "legame": «Non finirò mai di chiederti scusa per non averti amato prima»; «Quando eri in vita, ti ho seguito molto meno di quanto avrei voluto, ora invece ti conosco bene e ti sento tanto vicino al mio cuore». C'è il sentimento, profondo, dell'amicizia: «Starei ore a scriverti, perché è bello parlare con te». C'è chi si confessa e chi chiede aiuto e conforto. Chi inizia il messaggio con «Caro Signor Papa», ma anche con «Caro papa mio» oppure con «Dolce amato tesoro» o ancora con «Dolcissimo papà» e magari lo termina in maniera affettuosamente familiare con «Un bacio», «Baci da tutti noi», «Ciao, a presto», «Tuo per sempre», «Ti abbraccio forte forte». E naturalmente non mancano la formule semplificate, tipiche del mondo giovanile con gli acronimi come T.V.B. (ti voglio bene), T.V.T.T.B. (ti voglio tanto tanto bene), T.V.U.M.D.B. (ti voglio un mondo di bene), gli «I love you» con firma «by...», i «non mollare mai», i cuori disseminati, le faccine sorridenti ecc. Un'infinità di testimonianza, un amore immenso. Come sintetizzarlo? Nuovamente con un messaggio - «Io ho tanta fiducia in te» - dove è detto tutto, è scritto tutto, è rappresentata per sempre - e comunicata per sempre - una vita-vitalità che non si spegne, ma che, come il «fuoco» di Santa Caterina «ha da ardere», caldo e luminoso.

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