Antonella torna e fa il botto Meglio i divetti dei record-trash
Lo strepitoso successo della prima puntata di «Ti lascio una canzone» (oltre sette milioni di telespettatori, share 33%, il doppio della Perego su Canale 5 con lo «Show dei record») conferma principalmente il seguito personale di Antonella Clerici e l'ottimo impianto del programma. Lo stile Clerici è decisamente basic: dare allo spettatore l'impressione di essere «normale» e di parlare e addirittura condurre come farebbe un componente a caso di un gruppo familiare. Una regola che sembra contrastare con le vigenti imposizioni dello star system ma che alla conduttrice milanese porta fortuna. L'altro ingrediente vincente è lo schema del programma. Altrettanto semplice. Affrontare il talento dell'infanzia evitando i toni miracolistici, che poi sono quelli che negli anni creano guasti e disturbi della personalità (perché è così raro che un bambino prodigio diventi un adulto prodigio?). Certo, ci sono anche regole di marketing televisivo, per esempio la presenza di Barbara De Rossi o di Claudio Baglioni, ma già il ritorno di Sylvie Vartan esula da certi aspetti. La cantante franco-bulgara, popolarissima in Italia fra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, è quello che si dice oggi un fuori mercato. Che sia una cantante molto apprezzata negli Stati Uniti, dove risiede da anni, non importa a nessuno. «Ti lascio una canzone» è ormai alla terza edizione e dunque sarebbe il momento giusto di curare con maggior attenzione lo scouting, cioè il reclutamento dei talenti in erba. Andrebbero seguiti anche sul piano delle scelte (che dovranno fare molto presto) e qualche volta il tutor paesano non basta. Raiuno si è assunta il ruolo di cacciatrice di talenti, da destinare al Festival di Sanremo, a trasmissioni come "Ti lascio una canzone" o ad altre attualmente in gestazione. Bene, tale ricerca andrebbe fatta in casa, senza affidarsi a società di marketing o peggio ancora accettare pacchetti. Sarebbe quanto meno opportuno far capire che il mestiere della musica è una cosa e quello della televisione un altro. Anche nello spettacolo andrebbe istituito il ruolo che nel calcio si chiama "osservatore", quello che frequenta i campetti di provincia con l'occhio lungo.