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I gladiatori rivivono all'ombra del Colosseo

Russel Crowe ne

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«Il cuore di Roma non è il marmo del Senato, ma la sabbia del Colosseo». Parola dell'ultimo Gladiatore, alias Russell Crowe di corazza vestito, nel filmone di Ridley Scott che nel 2000 fu la seconda pellicola più vista dell'anno. Il kolossal prevedeva qualche ciak al Colosseo, ma il Campidoglio guidato da Francesco Rutelli disse no, causa restauro del monumento superstar. Così il regista s'accontentò di un Anfiteatro Flavio fittizio, nel set tirato su in un pugno di giorni a Malta. Con qualche inevitabile gaffe. Come i tatuaggi sulle braccia degli attori, senza pensare che i cives romani li consideravano pratica barbara. Da domani invece i gladiatori invadono il Colosseo, per la mostra - col marchio della Sovrintendenza Archeologica di Roma passata dalle mani di Angelo Bottini a quelle di Giuseppe Proietti - che si spande nei suoi ambulacri. Mica elmi, corazze, spadoni tagliateste autentici. Invece riproduzioni. Ma non approssimative come in certi set (nessuno dimentica il legionario con l'orologio in «Scipione l'Africano» di Carmine Gallone). Al contrario c'è l'exploit di una nuova branca di ricerca. Rossella Rea, la curatrice della mostra, la chiama «archeologia sperimentale». E spiega: «Le armi e gli accessori esposti, eseguiti da esperti artigiani, sono il prodotto di uno studio approfondito delle testimonianze venute dal passato. Dalle descrizioni degli storici antichi alle raffigurazioni su affreschi e mosaici, agli oggetti di uso quotidiano, come statuette, lucerne, vasi». Nelle vetrine sono sistemati anche pezzi autentici, armi venute da Pompei. «È proprio dal contrasto tra il nuovo che riproduce l'antico e l'antico stesso che la mostra trae il suo senso. Indicando quanto si è irrimediabilmente perduto». I colori prima di tutto. Quegli stessi che tinteggiavano statue e rilievi. Li ritroviamo grazie ai fasci di luce che illuminano periodicamente l'Ara Pacis, dando nuova vita al corteo dei cortigiani di Augusto. Li ritroveremo in «Gladiatores» al Colosseo. Per esempio nelle piume azzurre o arancioni che ornavano gli elmi. «I colori svolgevano un ruolo fondamentale negli spettacoli dell'Anfiteatro - chiarisce Rea - Gli spettatori, man mano che i loro posti si allontanavano dall'arena, non percepivano le singole figure dei lottatori, ma gruppi di combattenti luccicanti sotto il sole. Le armi nuove, di attacco e di difesa, sono state indossate per comprendere quali movimenti potesse compiere chi le portava. Attraverso tentativi e modifiche si è riusciti ad attribuirle a un tipo di gladiatore piuttosto che a un altro». Ecco allora le storie dei combattenti fino allo spasimo. Professione gladiatore significava non solo rischiare di essere infilzato nell'arena o sbranato dalle fiere. Chi era sconfitto spesso era vittima di iugulatio, di una sbrigativa esecuzione. E la sua morte era un bel danno per il «lanista» che lo aveva addestrato o per l'editor dello spettacolo, quasi sempre l'imperatore, che regalava al volgo panem et circenses in cambio di consenso. Ma ringraziava gli dei il combattente che finiva pari il match. Perché, racconta il saggio Seneca, veniva stans missus, graziato. Erano egiziani, spagnoli, traci. Prigionieri di guerra, schiavi, liberti. O ancora professionisti. Cominciavano a battersi a 17 anni, il loro valore si giudicava dal numero degli incontri sostenuti. In media una dozzina, ma se le pugnae diventavano quaranta, allora il gladiatore si guadagnava la nomina a istruttore. Un mondo a parte. Spiato da un'umanità spietata e gaudente sistemata sugli spalti. La kermesse al Colosseo poteva durare anche cento giorni, come volle Tito nell'80 per inaugurare l'anfiteatro della propria gens. Traiano poi, nel 107, celebrò per tre mesi il trionfo sui Daci. Si cominciava la mattina con un corteo assurdamente assortito: musici, coppie di gladiatori antagonisti, cacciatori di belve, condannati a morte. Seguiva la venatio, la lotta con le fiere. All'ora di pranzo, per digerire meglio, spettacoli di intrattenimento ed esecuzioni capitali. Il munus, il combattimento vero e proprio, si svolgeva nel pomeriggio. Il pubblico entusiasta arraffava monete, perle, tessere per alimenti. Tra cascate di fiori e spruzzi di zafferano e profumi. Giù, nell'arena, urla e sangue. E il giorno dopo si ricominciava. Forsennata «ola» pagana.

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