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Pirella, mister dieci e lode
![Emanuele Pirella](https://img.iltempo.it/resizer/375/-1/true/upload/20121218/iltempo.foto.33324.jpg--pirella__mister_dieci_e_lode.jpg)
Era il papà della pubblicità italiana: Emanuele Pirella, scomparso ieri, aveva inventato la banana «dieci e lode», «O così o Pomì», «Nuovo? No! Lavato con Perlana» e tanti altri slogan. Aveva il «fiuto» per i tormentoni, per quelle pubblicità che ti entrano nella testa e, in qualche modo, diventano parte della cultura nazionale. Emanuele Pirella è scomparso ieri a Milano, nato a Reggio Emilia nel 1940, settanta anni fa, era malato da tempo. È stato un grande pubblicitario, di quelli definiti «creativi» o «copywriter», ma anche eccellente giornalista e autore di satira, in coppia con il disegnatore Tullio Pericoli. In campo pubblicitario inventò celebri campagne, come quella per la banana Chiquita il cui slogan, «dieci e lode», è entrato nella storia della pubblicità italiana. Fu suo anche il lancio del quotidiano «La Repubblica», nel 1976, per il quale creò, sempre insieme a Pericoli, il fumetto del sabato «Tutti da Fulvia sabato sera». Come direttore creativo dell'Agenzia Italia/BBDO, fondata nel 1971 con Michele Gottsche e Gianni Muccini, Pirella ideò alcune delle campagne più note e aggressive degli anni Settanta, come «Jesus Jeans: non avrai altro jeans all'infuori di me. Nel 1981 fondò, sempre con Michele Gottsche, la Pirella-Gottsche, diventata poi Lowe Pirella. Si devono a lui, tra le molte idee e campagne innovative, quella con il veterinario dell'Amaro Montenegro e dei tortellini sponsorizzati da Giovanni Rana in persona: il padrone dell'azienda che diventa protagonista. Come autore di satira, in collaborazione con Tullio Pericoli, ha lavorato, oltre che per «La Repubblica», per «L'Espresso», «Linus» e il «Corriere della sera». Si occupò anche di una campagna per «Panorama». Nel 2002 curò la pubblicazione del suo «testamento professionale», il libro autobiografico «Il copywriter. Mestiere d'arte» ed è stato anche fondatore di una scuola di pubblicità. Per lui, come disse in un'intervista, l'agenzia pubblicitaria, anche quella grande e di prestigio, deve restare «una bottega in cui si pratica e si insegna un'arte». Il suo modo di intendere il mestiere, infatti, sempre proiettato verso il futuro aveva radici dal sapore quasi medievale: «La creatività - diceva - si trasmette insegnando l'ubbidienza: si fa fare qualcosa, poi qualcosa di più grande e di più grande ancora, fin quando un pubblicitario non esce da una bottega per fondarne un'altra e diventare grande a sua volta».
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