L'anima partenopea conquista la Capitale
Il talento innato di uno scugnizzo di belle speranze che per paura di tuffarsi in mare, come i suoi compagni, preferiva aggiudicarsi la preziosa monetina del turista intonando una canzone napoletana e rimanendo saldamente ancorato su uno scoglio, è celebrato nello spettacolo «Canto perché non so nuotare... da 40 anni», l'one man show di Massimo Ranieri, ormai diventato un cult, di ritorno da stasera al 4 aprile al Sistina, dopo il successo dello scorso anno e il plauso decretato dalle platee di tutta la penisola. Circondato da un'orchestra e un corpo di ballo formati interamente da donne, l'attore interpreta i brani più significativi del suo repertorio, alternandoli a parti recitate o improvvisate in cui parla della sua vita e della sua carriera artistica. Accanto ai suoi pezzi più famosi, da «Rose rosse» a «Se bruciasse la città», da «Vent'anni» a «Erba di casa mia» e «Perdere l'amore», attinge al patrimonio canoro partenopeo più classico, senza trascurare omaggi a Battiato, a Mina o a Tenco o evergreen come «Almeno tu nell'universo» di Mia Martini e «L'istrione» di Charles Aznavour. «Quando da bambino cantavo per guadagnare qualche spicciolo, ho capito che quest'urgenza naturale poteva diventare un mestiere e sono passato a esibirmi nelle feste, ai matrimoni e poi via via fino alle serate - ha confessato l'artista, grato a un destino che presto l'ha condotto sulla strada di un'indiscussa e globale popolarità - Tutti mi hanno dato molto e sono stato davvero fortunato. Ho rubato da Bolognini e da Patroni Griffi, come anche da De Sica che mi diresse al Sistina in uno spettacolo da cui nacqueù "O surdato 'nnammurato", il mio primo disco live. Sono passato poi da Visconti a Zavattini, da Zeffirelli a Steno, senza comunque dimenticare Scaparro, Garinei e prima ancora Strehler con De Lullo e Valli. Il mondo è cambiato, non esistono più questi geni: erano personaggi straordinari. Oggi è tutto più difficile, ma gli spettatori vanno educati con l'opportunità di proporre nuovi autori e giovani generazioni. Spesso in passato dominavano alcune mode culturali: Pirandello, Goldoni, Viviani rispondevano di volta in volta alla condizione del Paese. Bisogna continuare a credere che la gente vada indotta a pensare e a informarsi perché di fatto il pubblico c'è». Ranieri, che presto approderà in Rai per impegnare il piccolo schermo in un doveroso tributo a quel magnifico mondo del teatro a cui ha dedicato la sua vita, ha così sintetizzato la differenza tra palcoscenico e tubo catodico: «In teatro verifichi attimo per attimo come stai lavorando e se sono contenti di guardarti, invece la televisione è uno strano animale che a volte non capisco: come una biscia sfugge da tutte le parti e non sai perché. Il problema è che non puoi vedere le facce delle persone e le loro reazioni».