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Il melodramma strizza l'occhio a Visconti

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Inmezzo una grande famiglia di industriali milanesi. Con l'occasione del proprio compleanno l'anziano fondatore della ditta passa la mano al figlio Tancredi, che ha sposato una russa, Emma. Hanno figli alla loro volta, uno, Edoardo, designato dal nonno a restare a fianco del padre, un'altra, Elisabetta, dedita prima alla pittura poi alla fotografia, sentimentalmente legata a un'altra donna. Edoardo ha un amico cuoco, Antonio, che ha il culto dell'alta gastronomia. Emma se ne innamora, furiosamente ricambiata. Edoardo scopre tutto e durante un alterco con la madre cade, batte la testa e muore. Emma seguirà il cuoco. Il testo, firmato anche da altri sceneggiatori, è di Luca Guadagnino che, con i suoi film precedenti (l'ultimo il discusso «Melissa P.»), non ha sempre convinto. Tutt'altro. E con quello che ha scritto non convince molto neanche oggi, appunto per quella sua inclinazione scoperta nei confronti dei più vistosi effetti del melodramma. Può convincere invece la sua regia che, con dichiarati accenti da cinefilo, cita spesso grandi autori del passato, non ultimo Visconti. I pranzi, ad esempio, nella lussuosa villa a Milano abitata dalla famiglia. Rituali sontuosi sottolineati da immagini rotonde e da segni sempre inclini a composizioni figurative volutamente preziose. E anche le cornici: una Milano prima sepolta sotto la neve poi colorata dalla primavera, tra architetture di cui si privilegiano soprattutto gli aspetti monumentali, eccedendo nelle ricerche linguistiche (un'implausibile passeggiata ad esempio) di Emma tra le guglie del Duomo e adoperando le musiche con violenza insistita per dar rilievo alle situazioni in cui gli accenti romantici sono più forti, ma comunque – almeno come modi di rappresentazione – certi risultati raggiungendoli. Riesce a sostenerli un gruppo di attori spesso incisivi: Gabriele Ferzetti, il patriarca, Alba Rohrwacher, la trepida Elisabetta, ma soprattutto Tilda Swinton come Emma, nel dramma del suo terribile amore. Con espressioni, spesso, di autenticità lacerante.

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