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Quell'Iran crudele visto dalle donne

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Shirin Neshat è un'artista iraniana nota finora per delle installazioni realizzate negli Stati Uniti dopo la sua fuga dall'Iran e premiate con successo anche in Europa tanto da aver vinto nel '99 un Leone d'oro nella Sezione Arti visive della Biennale di Venezia. Adesso, rifacendosi ad alcune sue installazioni e ispirandosi per la trama a un romanzo di un'altra iraniana emigrata, Shahrnush Persipur, ha deciso di dedicarsi anche al cinema esordendovi con il film uscito ora nelle nostre sale e già visto - e premiato - l'estate scorsa alla Mostra di Venezia. Quattro donne in fuga. Una da un fratello dispotico che vuol combinarle un matrimonio. Un'altra da un bordello in cui ha imparato a odiare gli uomini. Una terza dopo esser stata stuprata in un bar, anche lei piena di rancore per la brutalità dei maschi. La quarta è in fuga da un marito militare, duro e oppressivo, deciso solo a imporle i suoi valori. La meta di tutte e quattro finisce per essere un giardino, di proprietà della quarta, che non tarda a proporsi come il simbolo di una liberazione agognata. Intorno, però, la Storia cammina. Siamo in quegli anni Cinquanta in cui gli inglesi e la CIA, per impadronirsi del petrolio, provocarono la caduta del governo democratico di Mossadegh con un colpo che autorizzò la dittatura dello Shah; cui, dopo venticinque anni, con un altro rivolgimento, sarebbe seguita quella Rivoluzione islamica tuttora al potere. Questa parte storica la regista l'ha ricostruita con accenti documentari, dando spazi volutamente più creativi ai casi delle sue quattro protagoniste. Narrandoli, pur seguendo il romanzo, non è stata sempre molto chiara né ordinata, rappresentadoli invece, con la vitalità delle sue immagini, è riuscita a suscitarvi in mezzo delle forti suggestioni visive: intanto, nell'evocazione di quel simbolico giardino in cui la natura, tra nebbia, sole e alberi, riesce a proporsi in cifre che sfiorano l'idillio, poi, grazie al velo nero di alcune di quelle donne, ottenendo risultati figurativi non dissimili da quelli tanto festeggiati nelle sue video installazioni. Il film, data la censura in Iran, è realizzato in Marocco, gli interpreti così sono iraniani emigrati. Tutti verosimili anche se - si è appreso - il parsi con cui si esprimono ha ormai accenti stranieri.

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