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Mefistofele rinasce con un viso d'angelo

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LorenzoTozzi L'Opera dei grandi numeri prosegue con il Mefistofele di Boito, un titolo che mancava dalla programmazione romana da quarant'anni (l'ultima volta era stato alle Terme di Caracalla nel 1970 sotto la direzione di Bartoletti e con Antonietta Stella). Oggi la visionaria opera di Arrigo Boito, accolta nel 1868 alla Scala da un clamoroso fiasco e più tardi ritoccata radicalmente, torna in scena al Costanzi (da martedì 16 al 23 marzo) in un nuovo allestimento scenico concepito da Filippo Crivelli su bozzetti mai completamente utilizzati di Camillo Parravicini. La bacchetta è quella apprezzabile di Renato Palumbo, tra gli interpreti principali il soprano dal viso d'angelo Amarilli Nizza, che si addossa sia il ruolo di Margherita che di Elena, il basso russo Orlin Anastassov (l'ambiguo Mefistofele) e il tenorone Stuart Neill (Faust). Un'edizione che, pur nel solco della tradizione, si avvale di proiezioni video di Michele Della Cioppa e di un impianto scenico di Andrea Miglio. «È un lavoro nuovo di zecca – tiene a chiarire Crivelli – I bozzetti di Parravicini saranno proiettati per la prima volta integralmente. In parte nuovi, in parte no i costumi, che rinviano alla società in cui fu scritta l'opera. Non certo un testo facile, ma neppure una semplice mise en espace, bensì uno spettacolo vero e proprio col coro sempre presente e senza l'ironia di certi registi d'oggigiorno. Una "allucinazione" di Boito, come lui stesso la definì in una lettera a Verdi, che realizzai due volte in gioventù, ma solo ora riesco a fare a modo mio. Voglio sottolineare che è il manifesto della Scapigliatura milanese. L'ho concepito quindi come omaggio a quel movimento letterario». Si addentra ancor più sul tema dell'opera goethiana (Boito fu l'unico ad affrontare insieme al primo anche il secondo Faust, quello dell'amore per la classicità) il direttore Palumbo: «Mefistofele è un'opera titanica, manifesto di una nuova rivoluzione. Dopo il didascalico Faust di Gounod, Boito trasforma Mefistofele, che diventa un personaggio grottesco, quasi un Don Giovanni, satanico nelle peggiori forme. Musicalmente Boito era un compositore ambizioso e sapeva di esserlo. Qui cerca un linguaggio completamente nuovo con un'orchestrazione ricercata alla tedesca e alla francese. Conosciamo solo la seconda versione del 1875 a Bologna, mentre poco resta della prima milanese del 1868. Era una sorta di grand-opéra di oltre 5 ore e fu Giulio Ricordi a consigliare i tagli opportuni. Oggi rimane una dura prova per orchestra e cantanti».

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