La Biennale finisce a Villa Borghese
Centoanni esemplificati dalla collezione della Fondazione di Venezia, nata da un istituto bancario che fin dalla prima edizione della Biennale, nel 1895, ha acquistato molti capolavori affiancandoli alle opere di artisti giovani scelti nelle mostre della Fondazione Bevilacqua La Masa. E così ora una selezione di questa raffinata raccolta viene presentata fino al 9 maggio nel cuore di Villa Borghese, al Museo Carlo Bilotti, con la mostra «Venezia e il secolo della Biennale», ben curata da Enzo Di Martino. Ne viene fuori, lungo l'intero 900, un'appassionante gara di bellezza fra cinquanta dipinti ed una trentina di vetri di Murano creati da maestri vetrai ormai mitici e da grandi designer, come Tapio Wirkkala, Carlo Scarpa e Paolo Venini. Né vanno trascurate le fotografie che ritraggono molti protagonisti dell'arte del XX secolo, spesso proprio mentre seguono l'allestimento dello spazio a loro dedicato dalla Biennale: tra i tanti ecco Max Ernst con un quadro fra le mani, Matisse intento a disegnare su un taccuino, due vivaci vecchietti come Leger e Carrà mentre dialogano su un vaporetto, e poi Marino Marini, Capogrossi, Giacometti, l'elegantissimo Fontana, quel curiosissimo folletto di Andy Warhol. Fra i dipinti, spiccano alcuni capolavori che segnano l'intero percorso dell'arte italiana: la «Nonna» (1905-1906) di un Boccioni ancora divisionista ma già concentrato sulla prodigiosa espressività di volto e mani, l'intenso «San Francesco del Deserto» di Gino Rossi, «L'alzana» di Cagnaccio di San Pietro con la tesa fatica di due uomini a grandezza naturale, e poi le opere di Depero, Casorati, De Pisis, Turcato, Tancredi, Guidi, Music, Vedova, Santomaso. Come scrive in catalogo Di Martino, la collezione della Fondazione di Venezia dimostra che «la storia di una città e la vicenda sociale, culturale ed espressiva di una comunità, possono essere raccontate attraverso i segnali clamorosi dell'arte che essa è capace di esprimere. E conservare».