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L'Osservatore Romano boccia "Avatar"

Neytiri, Jake, personaggi di Avatar

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Come acutamente cita L'Osservatore Romano, il film «Avatar» di James Cameron «era un gigante d'argilla, apparentemente inattacabile e invece potenzialmente suscettibile di venire sgretolato in pochi attimi dal Davide della rediviva Kathryn Bigelow». Non basta il 3D e la solita favoletta dell'eroe che si pente a favore dei più deboli a convincere il sofisticato pubblico dell'Academy. Ecco che la lunga notte degli Oscar ha fatto crollare il ridondante «Avatar», campione d'incassi mondiale di tutti i tempi. E, guarda caso, ha usato proprio una donna, per giunta la 59enne ex moglie di Cameron, che di cinema ne mastica da più di trent'anni. E non solo grazie alla complicità dell'ingombrante marito, che già aveva conquistato le sale del mondo con «Titanic» alla fine degli anni '90. Kathryn Bigelow è una regista tosta, che ha già diretto 8 film, restando sempre lontana da ogni possibile clichè vetero-femminile edulcorato e prediligendo i film d'azione (vi ricordate lo straordinario precursore «Strange days» che raccontava nel 1995 come la tecnologia divorasse il cervello degli esseri umani?). Proprio lei, con il suo «The Hurt Locker», racconta l'America anti bellica che considera il lavoro dei marines, quello dello sminamento in Iraq, più che un atto di eroismo un'autentica follia. L'Academy sembra così più in sintonia con i temi caldi dell'America contemporanea che non con il glamour hollywoodiano. Che ha stancato persino le signore ingioiellate sedute dal parrucchiere, le quali, oggi, invece di decantare l'ultimo vestito di Miuccia, preferiscono dialogare di questioni scottanti. Come la guerra, il pensiero verde, la politica, la religione del lavoro e quella delle società monoteiste. L'immaginifico e tecnologico «Avatar» ha perso, ma non solo lui. Ha perso anche la faciloneria americana, la superficialità e l'arroganza del potere economico, la bellezza narcisistica delle sue star. E proprio quando l'Iraq va alle urne con libere elezioni, grazie a quella guerra, Hollywood premia un film che critica quel conflitto: «La guerra è una droga e Obama ci salverà», ha detto la Bigelow stringendo tra le mani l'ambita statuetta. Dimenticando, forse, la sua vera grande vittoria: quella dell'amore per la verità, povera, nuda e cruda, ma orgogliosa e appassionata, come quella di quei soldati, che tra polvere e pietre, combattono per se stessi e per un altro mondo.  

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