Avatar battuto, 6 Oscar a "The Hurt Locker"
"The Hurt Locker", il film sulla guerra in Iraq che pochi hanno visto, ha trionfato domenica sera agli Oscar battendo in modo netto e clamoroso il campione di incassi "Avatar". La sfida classica tra il David costato undici milioni di dollari e il Golia costato 50 volte di più, resa ancora più piccante dallo status di ex-coniugi dei due registi, si è conclusa in una notte magica per Kathryn Bigelow, diventata la prima donna sia a conquistare un Oscar per la regia che una statuetta per il miglior film. «Spero di essere la prima di una lunga serie di registe a vincere l'Oscar», ha detto la emozionata Bigelow sottolineando la doppia barriera infranta in questa lunga notte di Hollywood. La regista ha dedicato la sua vittoria «alle donne e agli uomini in uniforme» impegnati nelle guerra in Iraq e in Afghanistan. "The Hurt Locker", che come Avatar aveva ricevuto nove candidature, ha chiuso la serata con sei statuette: oltre a quelle per il miglior film ed il miglior regista ha vinto anche i premi per la sceneggiatura originale, il montaggio e due Oscar per il suono. Il film a tre dimensioni di James Cameron ha dovuto accontentarsi di tre statuette: scenografie, effetti visivi e fotografia. Un bottino misero rispetto alle ambizioni del film. L'Oscar per la splendida fotografia di Avatar è stato conquistato dal calabrese Mauro Fiore, uno dei due successi italiani della serata. L'altro è giunto dal compositore Michael Giacchino, autore della dolce colonna sonora del film animato "Up", che proprio l'anno scorso ha ricevuto (dopo una lunga battaglia burocratica) la cittadinanza italiana. È stata una brutta serata per il film di Quentin Tarantino "Inglourios Basterds" che ha partorito dalle otto candidature ricevute solo il topolino di un Oscar, del resto scontato: quello ricevuto da Christoph Waltz, come miglior attore non protagonista, per il ruolo di un bizzarro ufficiale nazista. Anche le altre statuette per le migliori interpretazioni non hanno prodotto grandi sorprese, anche se non sono mancati i momenti di emozione. Jeff Bridges ha vinto l'Oscar per il miglior attore (per il cantante country di 'Crazy Heart) ringraziando dal palco i genitori artisti per averlo avviato «ad una professione così fica». In campo femminile si è imposta la favorita Sandra Bullock (per 'The Blind Side) che ha battuto Meryl Streep (giunta alla sedicesima candidatura). «L'ho veramente meritato questo Oscar o vi ho preso semplicemente per stanchezza?», ha scherzato nel suo discorso di ringraziamento. Poco dopo ha ricordato di avere ricevuto il giorno prima un 'lamponè, gli anti-Oscar per le peggiori prestazioni dell'anno, che si era recata spiritosamente a ritirare dimostrando grande senso dell'umorismo. «Metterò l'Oscar e il lampone sulla stessa mensola, uno accanto all'altro, perchè è sempre bene restare con i piedi per terra», ha affermato. La statuetta per la migliore attrice non protagonista è andata alla favorita Mònique, la madre crudelissima del film 'Precious', che ha tenuto soprattutto a ringraziare il marito per «avermi mostrato che qualche volta è meglio fare la cosa giusta piuttosto che la cosa più facile e più comoda». Bob Murawski, che ha vinto l'Oscar per il montaggio tutto adrenalina di 'The Hurt Locker', ha detto di essersi formato con i film dell'orrore e in particolare con i film «dei grandi maestri italiani come Dario Argento e Lucio Fulci». La cerimonia, affidata agli attori Steve Martin e Alec Baldwin, è stata più scorrevole del solito: il duo ha mostrato una efficace alchimia (mostrata nel film 'È Complicatò dove erano entrambi innamorati di Meryl Streep). È stata proprio la famosa attrice a fare le spese di una delle battute più perfide di Martin: «Meryl ha stabilito il numero più alto di candidature o, come vedo io le cose, il numero più alto di sconfitte». La battuta ha un fondo di verità: la Streep ha vinto infatti solo due Oscar (in sedici tentativi) e l'ultimo risale a quasi trenta anni fa. L'esilio ad altra serata dei premi umanitari e alla carriera ha snellito la cerimonia così come la rinuncia ad eseguire le cinque canzoni in lizza per l'Oscar di tale categoria. Chiudendo la serata, dopo tre ore e mezzo di spettacolo, Steve Martin ha comunque ironizzato che la cerimonia «è durata così a lungo che Avatar si svolge adesso nel passato».