Appuntamento al lago con l'uomo che non sei
Quando si lasciano andare le idee accade che il punto di partenza diventa un puntino senza valore. Il pensiero a cui non si chieda di essere organico, organizzato e logico vive di vita sua e porta chi se ne lascia accompagnare a lidi sconosciuti eppure assolutamente familiari. Il pensiero che libra non chiede mai perché, s'avventura senza paura e senza paura s'apre a comprendere ciò che in nessun altro modo sarebbe possibile capire. In questo libro di Fabio Torriero la cornice narrante è un incontro inatteso fra quattro persone che si vuole militanti degli anni '70. Militanti a destra, spesso anche di se stessi, in una specie di vita degli specchi nella quale la sovrapposizione è la salvezza quando l'ideale non è stato abbastanza onorato, vissuto, realizzato. Personaggi dalle caratteristiche volutamente (immagino) ambigue. Le personalità sono descritte senza l'approfondimento che la circostanza letteraria avrebbe preteso se l'autore avesse voluto raccontare qualcos'altro da sé. Mi sembra dunque il tentativo di svelarsi senza scoprirsi troppo. Di rispondere al giudizio che potrebbe venire da destra, da sinistra, da dentro, da fuori giocando a rimpiattino con chi è convinto di sapere, ma non può conoscere. La provocazione dell'accenno dominante all'esoterismo consente a Torriero di raccontare qualche favola condendola di mistero salvo poi ricadere nella pratica, a volte lussuriosa, della vita. Con il disprezzo concesso alle esperienze estreme, indimenticabili, pesanti. Uniche. Fino a diventare gelosissima memoria. E poi l'ossimoro della voglia di stare e di scappare simultaneamente. Abbeverandosi al successo e alla disperazione. Come se in mezzo non ci fosse niente. Irrefrenabile il dolore per l'arroganza di saper sempre prevedere come andrà a finire a patto che non siano gli altri a esercitare il subdolo arbitrio. I quattro amici, o camerati che dir si voglia, si ritrovano nudi con le loro nemmeno tanto segrete aspirazioni e questo accade perché qualcuno, il Maestro, li ha chiamati. Sin troppo facile cogliere la simbologia della voce che si vuole ascoltare e che non sempre si riesce a cogliere. Che si tratti di sfida o di accomodamento, il viaggio sul lago recherà i suoi effetti. Il ribelle, fra i quattro, sa esprimere meglio la sua storia, gli altri tre restano belle poltrone di un salotto dell'anima dove di tanto in tanto può essere utile accomodarsi. La ricerca prende vita, diventa trama, pur cedendo a un esercizio di autoanalisi troppo compresso per svelarsi vitale quanto potrebbe. La spinta verso la scoperta di quel che non si sa ha spesso il sopravvento ed è bello vedere che lo fa senza pudore. Qualcosa accade, alla fine, ma non è quello che ci si aspetta. Le vite non sono stravolte, i caratteri non cambiano. E allora a che cosa è valso muoversi, cercare, maledire, fare sesso, ubriacarsi, sorridere, diventare tristi, sentirsi certi di cambiare il mondo? A null'altro che ad accettare l'idea che si può crescere solo diventando se stessi. Quanto questo sia il vero santo graal lo sanno quelli che l'inseguono ogni giorno. Per oggi basterà ricordare che tentare è già una benedizione. A condizione di essere disponibili a farsi travolgere dalla gioia.