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Sicilia come un'infanzia. E Jannuzzo ci torna

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Tiberiade Matteis Ricordare le proprie origini per scendere a patti con la nostalgia e riuscire ad amare anche i luoghi in cui la vita ci induce ad approdare è il percorso scelto da Gianfranco Jannuzzo per il suo monologo «Girgenti amore mio», dedicato alla città natale Agrigento e scritto a quattro mani con il casertano Angelo Callipo «che siciliano non è ma scrive della Sicilia come e meglio di un oriundo». Lo spettacolo debutta stasera al Quirino, dove sarà replicato fino al 7 marzo e poi ancora dal 16 al 21 marzo, ed è diretto da Pino Quartullo con musiche di Francesco Buzzurro, scene di Salvo Manciagli e costumi di Silvia Morucci. Cosa le ha lasciato nel cuore Agrigento? «Parlo della mia città che qui però diventa il luogo di nascita di ciascuno di noi. La chiamo Girgenti con il nome che possedeva ai tempi dei miei genitori, evocando subito ricordi anche un po' malinconici. Segnalo quello che mi manca del passato, ma pure l'atteggiamento critico di quando vi torno. Passo dalle imitazioni dei professori alla prima caccia al tesoro, dalla biciclettina a rotelle sorretta dai genitori al cinema finalmente da soli, dal bar in cui si imparava a fumare di nascosto agli approcci adolescenziali da playboy». I luoghi originari restano dentro di noi? «Ti puoi allontanare, ma non separare. Non ho mai reciso il cordone ombelicale e sono sempre tornato ad Agrigento per le vacanze estive, anche quando ormai studiavo a Roma. A un certo punto del monologo cito tutta una serie di città italiane, unite proprio dal sentimento profondo di amore e gratitudine di chi ci è nato». Ormai vive da anni nella capitale. Come ci si trova? «La descrivo anche in questo mio spettacolo per la sua capacità di accogliere ecumenicamente tutti. È una metropoli e dapprima ti schiaccia, facendoti sentire un numero, ma se sai cogliere le giuste opportunità, ti premia perché hai voluto credere in lei. A Roma ho potuto frequentare la scuola di Proietti, formarmi e apprendere un mestiere con una facilità e una visibilità che sarebbero state impossibili altrove». Come reagisce il pubblico a questa proposta? «Gli Italiani hanno il dono dell'autoironia e sanno veramente ridere di se stessi, ma desiderano anche che il teatro sappia tutelare ed esaltare quei fondamentali valori che troppo spesso la società attuale sembra calpestare come la lealtà, l'amicizia e il senso di appartenenza. Credo che l'adesione e il plauso che esprimono per questo mio lavoro sia legato alla possibilità di veder riconosciute le loro esigenze».

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