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Leggero come Italo Calvino

Il critico Walter Pedullà

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«La leggerezza non svanisce, deposita. Ed è difficile da mettere in pratica, corre sempre il rischio di guastarsi, di farsi pesante. Calvino gli ha dedicato una delle sue Lezioni Americane. Sintetizzando con una intuizione ciò che ha avuto successo nel Novecento, da Perelà uomo di fumo di Palazzeschi a Campanile e ad Arbasino». Parola di Walter Pedullà, il decano degli storici della letteratura italiana. Parla volentieri, il professore, dello scrittore schivo di carattere eppure ironico sulla pagina. Domani Roma incontra Italo Calvino. Fa tappa all'Auditorium il tour della Fondazione De Sanctis dedicata ai grandi scrittori italiani. Un «festival» dei grandi autori voluto dal pronipote del maggiore critico delle nostre lettere. Ogni serata dedicata ad uno scrittore, introdotto da uno studioso e letto da un attore. Domani tocca appunto a Calvino, introdotto da Alessandro Piperno. Fabrizio Bentivoglio legge la più famosa delle Lezioni americane, appunto quella edicata alla leggerezza. Pedullà, proviamo a ricomporre il puzzle Calvino.Piperno dice che non è un patito della sua narrativa, tuttavia ne trova irresistibile il modo di pensare. Non sono d'accordo. Non si può dire per lui che è più intelligente delle sue opere. È vero, ha una enorme cultura. Ma sa liberare il raccondo dalla zavorra, dalle interpretazioni. Quelle le fa il lettore. Certo, quando scrive pensa. Come Pirandello. Però chi mette in discussione il pirandellismo? La trilogia è l'opera che gli ha dato più fama. Quanto vale, a leggerla oggi? C'è altro che preferisco. "Il barone rampante" è certamente migliore de "Il visconte dimezzato" e del "Cavaliere inesistente". Però andate a rileggervi "La giornata di uno scrutatore", tocca i vertici della metafisica. O "Palomar", con quella prosa smagliante. O "Le cosmicomiche", un racconto sbriciolato nel quale il fantastico si vitalizza. O ancora "Ultimo viene il corvo", per me un capolavoro. Gli ha nociuto, come autore, essere comunista? Nel '56, dopo i fatti di Ungheria, lasciò il partito. Non credo. Ne "Il sentiero dei nidi" di ragno" racconta la violenza dei partigiani, che culmina in atti inauditi. Insomma, si interroga sui guasti sia dei rossi che dei nazisti. Certo, poi c'è l'indiretto suggerimento che la brutalità rivoluzionaria indirizza la Storia. Ma l'ideologia è riscattata dall'invenzione. Insomma, non butterebbe Calvino giù dalla torre? Lui no. Piuttosto, Pasolini. Ma che tipo era? Albertazzi, mettendo in scena Lezioni Americane, parlava della leggerezza come un valore di cui investire tutto il possibile della vita. Sa, la riflessione lieve sottintende un progetto molto serio. Calvino aveva garbo. Eppure io gli stroncai in una recensione "Il cavaliere inesistente". Però era il contrario di come si potesse immaginare leggendolo. Nient'affatto acrobatico. Piuttosto composto, elegante, distaccato. Insomma, esuberanza zero. È vero, era un perfetto illuminista.

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