Battisti va studiato a scuola
Una vita passata nella musica. Dalla sua casa romana piena di ricordi, juke-box e dischi, Renzo Arbore si prepara a salire sul palcoscenico della Casa del jazz di Roma, dove alle 19 sarà protagonista della rassegna «Io e il jazz». Tra un concerto e l'altro, Arbore trova il tempo per pensare alla tv e alla nostra città. Renzo Arbore, cosa succederà oggi pomeriggio alla Casa del jazz? Tornerò a fare quello che amo di più. Comunicare al pubblico la mia passione per la musica. Comincerò da Louis Armstrong e poi arriverò anche a Charlie Parker e Miles Davis. I mostri sacri saranno ricordati attraverso dvd e racconti personali. Lei vive a Roma da decenni. Qual è la situazione del jazz romano? Molto buona ma la situazione è florida in tutto il Paese. Che intende dire? Che il jazz italiano non ha nulla da invidiare a quello americano. Anzi. Basta fare i nomi di Bollani, Rava, Rea, Cafiso e Petrella per rendersi conto che siamo all'avanguardia. Ci sono jazzisti romani degni di nota? Altro che. Stefano Di Battista è un sassofonista tra i migliori in circolazione ed è romano de Roma. È un momento importante per la nostra musica. Da poco si è chiuso il festival di Sanremo. Cosa pensa delle polemiche sul televoto truccato? Lo strapotere del televoto è troppo invasivo. Personaggi come Malika Ayane o Irene Grandi meritavano più attenzione. La cosa migliore è accostare una giuria di critici al gusto popolare. All'inaugurazione della mostra su De Andrè all'Ara Pacis, gli esperti hanno paragonato il cantautore genovese a Caravaggio. Paragone azzardato? Direi proprio di no. Faber è stato un grande poeta e ha toccato vette altissime. Credo di essere stato uno dei primi a convincerlo ad andare in televisione. Mi ricordo quando cantò una versione struggente di "Rimini" a "L'altra domenica". Ci sono alcuni personaggi che andrebbero studiati a scuola. De Andrè è tra questi? Certo ma ci sono anche Modugno, Battisti e Giorgio Gaber. Sono artisti che appartengono alla nostra cultura e che finora sono stati sottovalutati. Perché in alcuni ambienti sono stati snobbati? Per un certo periodo si è creduto che la musica popolare vivesse lo spazio di una moda. Effettivamente questo è accaduto nel periodo «beat» ma con i cantautori la musica è cambiata. Cosa pensa della tv? Ci sono cose da salvare. I talent-show, ad esempio, li considero un'evoluzione. I reality, invece, non mi convincono perché hanno contenuti troppo piccoli. E lei non ci pensa proprio a tornare in televisione? A giugno, poco prima di Umbria Jazz, sarò in video con le origini italiane del jazz. In tv farò ascoltare la generazione di italiani che ha fondato il jazz negli Stati Uniti. Ebbene sì, siamo stati i primi anche in quello.