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Un serial killer dalla crudeltà stucchevole che «soffre» assieme alle sue vittime

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Ungiornalista alle prime armi che pratica il karate e sfoga con calci e pugni la rabbia ingoiata nel corso della sua dura gavetta redazionale. E le strade dei due protagonisti che si incrociano sullo sfondo della Roma «nera» degli Anni '70. Nera nel senso di cronaca. Erano anni, infatti, in cui nelle redazioni dei quotidiani risuonavano nomi che oggi sembrano quasi «esotici», come quello del clan dei Marsigliesi. Giornate che spesso non si chiudevano senza un omicidio, una sparatoria, un cadavere sull'asfalto. Sangue frutto di regolamenti di conti fra bande della criminalità organizzata in guerra tra loro. C'è molto di autobiografico nell'ultimo romanzo di Massimo Lugli, il terzo, dopo il successo de «L'istinto del lupo», finalista al premio Strega. Non per niente, l'inviato speciale di Repubblica è un navigato cronista di nera e un esperto di arti marziali. Ma lo stile secco, asciutto e sintetico del redattore è stato ormai sostituito pienamente e felicemente da quello più fluido e avvincente dello scrittore. E nel suo «Il Carezzevole», titolo che fa riferimento all'atteggiamento atrocemente «protettivo» e insieme spietato e alienato dell'assassino seriale e, nel dettaglio, al modo in cui i cinesi chiamavano il carnefice imperiale, Lugli riesce a dare un ritmo e a trasmettere una suspanse degni di un grande giallista. Il rapporto fra l'aspirante reporter Marco Corvino e il «mostro» che tortura ragazzi e ragazze basandosi sui testi taoisti e utilizzando i cinque elementi (acqua, legno, terra, fuoco e metallo) si fa più stretto e avvolgente pagina dopo pagina. È il secondo che «sceglie» il primo come «portavoce» della sua missione: «Illustrerà ai suoi lettori la teoria sublime che sta dietro al percorso del dolore - gli dice - Lei sarà il primo giornalista a raccontare l'epopea del Carezzevole, seminerà sconcerto e terrore, e io le fornirò le notizie di prima mano». Lui, Corvino, accetta dopo molte ritrosie e con decrescente incredulità. È un'occasione d'oro, da un punto di vista professionale. È anche un rischio mortale. Ma Marco, a questo, non ci pensa. Anzi. Le telefonate notturne che all'inizio lo disturbavano e lo turbavano diventano per il giornalista «in prova» un appuntamento fisso e atteso: «...mi sorprendevo ad aspettarle - riflette Corvino - e restavo deluso se il telefono non mi buttava giù dal letto. Avrei dovuto bloccare ogni contatto fin dall'inizio ma qualcosa me lo aveva impedito e ormai era troppo tardi». Il rapporto tra i due diventa via via più morboso, asfissiante e pericoloso per Marco. Il quale, da osservatore si trasforma in attore in un rush finale che toglie il fiato e obbliga a divorare riga dopo riga con passione crescente. E senza la forza di fermarsi per una pausa di riposo, un breve rifugio temporale dall'Orrore.

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