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Fellini l'avrebbe girata così.

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Primissimipiani, saluti a go-go. Strette di mano e inchini, sciarpe e polsini inamidati, strass, rossetto a strati. Un plotone di illustrissimi, di grand commis, di generone. La Roma che conta ridotta a silhouettes inghiottite nel tutto nero delle Scuderie del Quirinale. Una teoria indistinta davanti agli squarci di luce sulle tele più conosciute del mondo, i Cristi, i santi, i bari, i poveracci del Caravaggio. È l'anteprima vip della mostra che si apre oggi al pubblico. Celebra in 24 tele l'artista superstar che nella città violenta e disordinata dei Papi ha dipinto di più. È subito Merisi-mania. Già 50 mila le prenotazioni. Così è facile per il Capo dello Stato - ha visto la rassegna nel pomeriggio e in compagnia solo di Alemanno in fascia tricolore, di Gianni Letta e Francesco Giro - inorgoglirsi: «Siamo depositari di un patrimonio senza uguali al mondo». Ma già dalla mattina l'ideatore dell'esposizione, Claudio Strinati, il primo fans del geniaccio lombardo, diceva mirabilie, un po' scherzoso un po' dotto. «Caravaggio come Salinger, firmò poche opere ed ebbe subito successo. Ovvio, è moderno. Perché ha dipinto i sentimenti base. L'amore materno, la rabbia, la violenza. Il timore della morte. Li ha rappresentati meglio in una natura morta che in una faccia». La sera, mille entusiasti, negli inviti selezionatissimi del presidente dell'Azienda Palaexpò, Emanuele. Mario Resca: «Una rassegna per tutti, senza affastellare opere, capace anche per questo di emozionare». L'opera che le piace di più? «I Bari. Ma anche le due Cene in Emmaus. Su quella di Londra, dico la mia. In tavola non c'è un pollo, ma una faraona». Luigi Abete non si sbilancia in preferenze, idem l'assessore Croppi. Gino Agnese si commuove davanti all'Adorazione dei pastori, Dante Ferretti soppesa il total black dell'allestimento. Fuori chi vuole esserci sta ancora in fila dietro le transenne. Finisce in cena esclusiva per meno di cento invitati all'Open Colonna.

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