Se la carriera finisce torno a fare il barista
Comunque finisca, i miei premi qui a Sanremo li ho già avuti. Come l'sms di Celentano, la notte dopo la prima esibizione: «Vai fortissimo, sei il numero uno». O i complimenti di Claudia Mori, di Giorgia che mi ha mandato un messaggio mentre era in casa con l'ostetrica prima del parto, di Francesco Facchinetti, o dell'immensa Mina, che mi ha mandato le congratulazioni attraverso la figlia Benedetta. So di essere piaciuto anche a Morgan. Non voglio parlare della sua vicenda, la vita personale degli artisti merita rispetto: mi venne la pelle d'oca quando, in piena "X Factor" lui entrò nel camerino dove eravamo io e Silver e piangendo si sfogò, dicendo che non ce la faceva ad aiutarci. Tra me e Morgan c'è sempre stata una grande sintonia, anche quando ci siamo scontrati. Lui è un vero animale televisivo, un artista e un conoscitore della musica come pochi altri. Chi aveva parlato, prima della sua esclusione, di sfida fra noi due a Sanremo, non sapeva ciò che diceva. Io conosco i miei limiti, nessuna mia canzone, per quanto riuscita, potrà cambiare la vita delle persone. Quanto alla mia, faccio gli scongiuri quando mi annunciano la vittoria al festival. Se sarà così festeggerò, altrimenti da lunedì mi farò risucchiare dal buio e dalla nebbia dell'incognita: una sensazione che mi procura ebbrezza, e che mi dà grande motivazione. Ora ho un nuovo disco fresco di stampa ("Re matto"), ma se la mia carriera di cantante finisse stasera, non mi sentirei un fallito. Non credo di avere un solo talento: a me piace fare il cameriere, il barista. Come quando avevo 14 anni e dovevo preparare venti cappuccini, con richieste assurde, alle sei del mattino. Se sei un ragazzo timido un simile lavoro può sbloccare ogni tua insicurezza. Da allora a oggi no so quante volte io sia cambiato, ma so che è bello sbagliare: sono le esperienze negative a farti crescere, a farti entrare davvero in contatto con te stesso, a guardarti allo specchio e imparare ad amarti non perché tu sia bello e perfetto, ma perché - comunque tu sia fatto - sei unico e irripetibile. Essere qui a Sanremo, al centro di questo uragano, mi pare comunque un sogno. L'anno scorso, di questi giorni, ero in qualche veglione di carnevale nella mia Ronciglione. Con gli amici: quelli con cui non riesco a comunicare, perché mi si è rotta la carica del telefonino, e non ricordo a memoria i loro numeri. So che tifano per me, che mi sanno felice quando sono sul palco, e se stono non fa nulla, perché quando canto riesco a liberare le mie energie positive, senza temere quella parte di me stesso che a volte mi fa paura, che credo incontrollabile. Ma che cerco di trasformare sempre in un'emozione condivisa.