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Chris Burden si accampa nel centro della Capitale

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ChrisBurden non è uno di quelli ai quali si può rimanere indifferenti: artista statunitense classe 1946 che sfugge alla logica dei gruppi e delle correnti, ha fatto della provocazione il suo stile di vita. Da ieri Roma ha accolto la prima mostra dell'artista, dal titolo «The Heart: Open or Closed». L'unica cosa che non si discute, arrivando alla Gagosian Gallery di via Francesco Crispi 16, è la bellezza e lo sfarzo del palazzo che ospita la celebre galleria internazionale. Svettanti colonne all'ingresso, una scala «minimal» in marmo scuro e poi l'immensa sala ovale delle esposizioni. Bellissimo il contenitore. Sul «contenuto» possiamo dire che il visitatore viene accolto da un'opera detta «Dreamer's Folly», del 2010: un complesso di romantici gazebo, in stile inglese, in ghisa dipinta di beige e ornati con tende su cui è ricamato un albero della vita dal sapore inequivocabilmente orientale. Il visitatore può sedersi sotto i gazebo e gustare la brezza che arriva da tre maxi ventilatori, marca Esprit, posti ai lati della sala. Più avanti «Nomadic Folly», del 2001, un monumentale accampamento con tende e tappeti, sorretto da una robusta struttura in legno e sollevato da terra da una pedana. Dominano il rosso scuro e il nero. I visitatori, che ieri sera all'inaugurazione di uno dei più attesi eventi artistici degli ultimi tempi sono accorsi numerosissimi, venivano invitati da piccoli cartelli a togliersi le scarpe e ad entrare nell'«accampamento». Molti l'hanno fatto, si sono accomodati sui morbidi cuscini, con appena un attimo d'imbarazzo per un calzino bucato o un po' scolorito. A chiusura del percorso il video, di pochi minuti, proiettato a parete e ossessivamente ripetuto dal titolo «The Rant». L'artista, immerso in una specie di bollitore, con occhiali da piscina, ripete un allarmante messaggio in francese (per fortuna ci sono i sottotitoli in italiano). «Io sono il predicatore della verità», afferma, e poi se la prende con le «invisibile lumache». E nonostante questo bisogna dire che Burden si è molto, ma molto calmato. Divenne famoso in tutto il mondo con performance terribili e pericolose. Negli anni Settanta si è rotolato su schegge di vetro, si è fatto dare fuoco, è stato crocifisso su un'auto (un Maggiolino Volkswagen) e, nel '71, si è anche fatto sparare un colpo di fucile calibro 22. L'«opera d'arte» è visibile a tutti su Youtube. Nel Terzo Millennio ha maturato questa vena nomadico-architettonica con la quale ha «invaso» la Capitale. Ieri, durante l'inaugurazione alla Gagosian, molti visi soddisfatti e qualche risolino imbarazzato. Il primo a varcare la soglia della mostra è stato Roberto D'Agostino, con barbetta da principe assiro e cappottone blu. «È veramente una cazzata», ha sentenziato senza mezzi termini. E indicando l'accampamento nomade: «Questi sono i tappetari dell'arte». Un minuto dopo era fuori. La mostra proseguirà fino al 27 marzo. Foto Pizzi

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