Giornalisti e low luxury le «rughe» del glamour

Ilmondo glamour mostra le prime rughe e soltanto una iniezione botulin-culturale potra cancellarle. La potente direttora di Vogue America, Anna Wintour, annuncia la sua presenza ridotta alle sfilate milanesi (dal 24 febbraio) e subito la Camera della Moda cambia il calendario altrimenti il diavolo americano non vestirà neppure più Prada. In perfetta coincidenza con le polemiche fashion-meneghine arriva in libreria «L'ultima sfilata» (Sperling&Kupfer pag. 280) corrosivo pamphlet in cui Luca Testoni, giornalista, processa la casta della moda italiana e lancia un accorato appello affinchè si salvi un'eccellenza, quel fiore all'occhiello del made in Italy che conquistava Hollywood e faceva tendenza. Singolare coincidenza Testoni? «Strabiliante. Diciamo che ho previsto alcune cose ma non immaginavo che sarebbero successe così in fretta». Insomma, la moda italiana è ricattabile? «Il made in italy potrebbe non esserlo se avesse la forza e le capacità di un vero sistema cosa che non è e non è mai stato nel senso vero della parola. Per fare sistema occorre un'idea condivisa e crederci». Eppure Diego della Valle ha difeso gli stilisti dicendo che la moda è un settore industriale, non un party. «Della Valle, geniale battitore libero, ha detto quello che io sostengo: se si uccidono le sfilate chiude la vetrina delle griffe e se chiude Milano non perde la città, ma tutta la piccola imprenditoria che tiene vivo un comparto». Ma lo stilista è un creativo quindi un individualista... «È questo l'errore di fondo, il peccato originale di un sistema ancora legato al modello personalistico iniziale che poi inquina l'entourage dello stilista... e così al genio creativo si è sostituita l'arroganza di imprenditori, pierre e buttafuori». E della Wintour? «Lei è un personaggio importante capace di imporsi agli stilisti e ai buyers, ma è questo sistema che ha squilibrato il personaggio perché il vero corto circuito è quello che c'è tra giornali e moda: i giornalisti non sono più giudici ma conniventi». Che pensa dell'eterno conflitto Milano-Roma? «Roma, che ha cominciato prima nella moda, è un modello che è servito anche a far grande Milano e per questo dovrebbe stringere un'alleanza. La Capitale ha un patrimonio che non va toccato, non deve combattere ma cambiare l'impostazione di AltaRoma. La moda italiana è fatta anche di associazioni create per distribuire potere...Più che pensare a un secondo polo della moda, bisogna creare un'azione di coordinamento vero, con un'etica comune evitando il raddoppio di strutture e assegnando ruoli precisi alle due città. Ora c'è solo inutile competizione». I marchi low cost hanno fatto male al fashion tricolore? «Certamente, ma è il mercato che ha decretato il successo del low luxury: la gente non era e non è più disposta a pagare un botto di soldi per un marchio, ma cerca un prodotto che abbia un rapporto vero tra valore e prezzo. Il mercato, complice anche la crisi, non si accontenta più del brand o degli slogan pubblicitari, è un mercato maturo che investe su etica, tecnologia e cultura. Oggi il messaggio dell'equità è un concetto chic ed è un passaggio pesante per chi ha fatto il suo business sulle fashion victim». E oggi risuonano come un epitaffio le parole di Valentino a commento del suo addio alla moda: «Non ho nessuna nostalgia. Io me ne sono andato dalla festa quando ancora c'era gente».