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Cara Claudia scusa, ti correggo

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Sembra proprio che nessuno voglia rinunciare a dire la sua a proposito del celebre film di Fellini. Purtroppo gran parte dei protagonisti non ci sono più e allora passa inosservato qualche intervento da memoria corta. È capitato qualche giorno fa anche a Claudia Mori, invitata da un quotidiano a dire la sua. "La dolce vita" ospita Adriano Celentano, che si scatena in un rock and roll sfrenato, "Ready teddy", lanciato da Little Richard, grande padre di questo genere, che lo incise a New Orleans nel 1956. Celentano non aveva 18 anni, bensì 21, già compiuti, ma del resto la Mori nemmeno lo conosceva, si sarebbero incontrati sul set del film "Uno strano tipo", soltanto quattro anni dopo. Pochi ricordano che per Fellini si trattò di una seconda scelta. Il regista era rimasto molto colpito dalla famigerata serata dello spogliarello al "Rugantino", dove quella notte era di scena la Roman New Orleans Jazz Band. Fellini associò il nome della band a qualcosa di "scandaloso" e "irriverente", convocò la formazione e nel provino rimase deluso. Si trovò davanti seri professionisti, fedeli cultori dello stile dixieland, inappuntabili ma che certamente non avevano nulla di ribelle. Fortunatamente la sua scelta cadde su Celentano, che in quel periodo ribelle lo era veramente, anzi, il suo gruppo si chiamava proprio Ribelli (anche se nella scena del film è accompagnato dai Campanino, celebre gruppo da night). In quel momento le sue contorsioni, il suo inglese inventato e tutta la sua energia fornivano un formidabile antidoto contro la conflittualità giovanile già in atto. Celentano era ancora un proscritto, baciato da un inconsapevole talento ma in qualche modo emarginato. Nessuno poteva immaginare che il rock and roll avrebbe unito molto più degli slogan ideologici. Nessuno, nemmeno gli appassionati che ballavano, poteva immaginare che Little Richard era un omosessuale che nella religione cercò di redimere le sue trasgressioni. Celentano non era ancora il re degli ignoranti ma il suo bizzarro modo di declinare la lingua italiana stava conquistando tutti i giovani, che già allora non ne potevano più del Festival di Sanremo e di ceselli melodici. Quello che il giovane urlatore della Milano periferica proponeva era una letteratura della migrazione, un jive della parola, un uso del palcoscenico vertiginoso, un modo di ballare in spregio ai maestri dello swing e un omaggio a tutto ciò che il rock and roll stradaiolo, rissaiolo e metricamente alterato proponeva. Ecco, in questo senso "La dolce vita" e Celentano fraseggiavano allo stesso modo.  

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